Sta nascendo davvero il primo governo della Terza Repubblica? Forse si, prematuro dirlo adesso, ma probabilmente avremo la certezza nelle prossime ore. Nel confronto del Pirellone tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono state trovate una serie di convergenze, il clima è comunque sereno ed i presupposti per un accordo che per 60 e più giorni è sembrato impossibile ci sono tutti. Almeno una prima parte dei programmi...

Il 'nodo premiership'

Resta il nodo della premiership e, alla fine, in un esecutivo è il nodo principale: sciolto quello, il resto viene di conseguenza.

Spetta alla 'strana coppia' indicarlo (indicarlo e non sceglierlo, perché quello è un compito del Presidente della Repubblica) e considerato che il dialogo tra M5S e Lega è stato ricomposto per avere un governo politico, allora è logica conseguenza che il presidente del Consiglio dei ministri debba essere un politico. Di Maio e Salvini insistono su un 'premier terzo', sinceramente non riusciamo ad identificarlo. A meno che non si scelga un 'tecnico' al comando di una truppa di politici: non ha molto senso e tanto valeva far comporre a Sergio Mattarella il suo 'governo di garanzia'. Nel caso non si arrivi alla fumata bianca entro questa sera, il voto 'super anticipato' tornerà ad essere di moda ed avrà anche un concorrente in più.

Il ritorno del Cavaliere

A volte ritornano: Silvio Berlusconi adesso è candidabile ed in caso di nuove elezioni sarebbe in piena corsa. Salvini ha commentato positivamente la sentenza di riabilitazione che ha annullato gli effetti della Legge Severino, ma siamo certi che in cuor suo punta a chiudere al più presto il contratto di governo con i Cinque Stelle e l'eventualità del voto lo vede meno baldanzoso rispetto a pochi giorni addietro.

Berlusconi, probabilmente, è ancora in grado di spostare gli equilibri in seno alla coalizione di centrodestra ed in caso di rinnovata campagna elettorale, il segretario del Carroccio potrebbe rischiare di rimettere in discussione la leadership che si è conquistato alle urne lo scorso 4 marzo. Ad ogni modo, se Forza Italia tornasse a rappresentare il traino della coalizione, qualunque ipotesi di dialogo con Di Maio verrebbe meno.

Oggi si decidono i destini del contratto per il governo di cambiamento, il famoso esecutivo giallo-verde: se non dovesse andare in porto, si aprono inevitabilmente nuovi scenari.

Tra i due leader, Salvini rischia di più

In questi giorni si è spesso parlato di coerenza e Di Maio è finito in più occasioni sotto accusa per quelle che sono state definite 'giravolte'. In realtà il leader del M5S aveva già espresso ben prima del voto del 4 marzo il suo 'governeremo con chi ci sta' nel caso in cui non si fosse raggiunta la maggioranza, anche perché sapeva molto bene che non sarebbe stato semplice avere i numeri. Aveva tentato di gettare un ponte anche con il PD, struttura virtuale che Matteo Renzi ha prontamente demolito: in tal caso la coerenza ci sta tutta e non tanto nel rifiutare un 'contratto di governo' con chi, nell'ultimo quinquennio, è stato un acerrimo rivale, quanto nel rispettare la volontà degli italiani espressa alle urne.

Fare il governo spetta a chi ha vinto le elezioni, Di Maio e Salvini ci stanno provando, ma in fin dei conti è la Lega a rischiare molto di più in questa trattativa. Il Carroccio gioca in due tavoli, ha già capito che gli alleati di centrodestra non voteranno l'eventuale governo, ma deve fare in modo che quantomeno si limitino ad astenersi al momento della fiducia alle Camere. Altrimenti la coalizione potrebbe rompersi e la Lega pagherebbe le sue 'relazioni pericolose' in termini elettorali perché non può camminare esclusivamente sulle proprie gambe.

Di Maio premier? Una scelta logica, ma...

Se sostanzialmente può esserci convergenza su tutti i punti del programma, resta dunque da risolvere il rebus della presidenza del Consiglio e qui ci sentiamo di azzardare un'ipotesi che ha la sua logica.

In una normale trattativa di governo, la premiership spetterebbe a Luigi Di Maio, leader del primo partito del Paese. Le parti al tavolo insistono su un terzo nome, ma siamo a livello di pure e semplici ipotesi: se il 'mister x' avrà precisi connotati nelle prossime ore, non dovrebbe essere un esponente del M5S o della Lega, ma è impensabile che sia espressione di un altro partito, o surreale che possa essere un 'tecnico' dopo il veto posto al governo del Presidente. Riavvolgiamo quindi il nastro e torniamo alle due forze politiche che stanno conducendo la trattativa e qui la scelta più logica è quella di designare lo stesso di Di Maio allo scranno più alto di Palazzo Chigi. Una scelta che ricade pesantemente sulle spalle di Matteo Salvini: se ritiene davvero di 'lavorare per gli italiani' sarà costretto a prendere in considerazione anche questa ipotesi che, però, sarebbe duramente osteggiata dagli alleati di centrodestra, ma la questione non dovrebbe preoccuparlo più di tanto visto che si punta a creare un esecutivo di legislatura.

Sarebbe pertanto costretto a scegliere e la partita si giocherebbe su un terreno fertile per il leader pentastellato che, rivolto al suo attuale interlocutore, gli aveva posto innanzi la scelta de 'il cambiamento o Berlusconi' in tempi non sospetti. L'impressione è che la trattativa corra proprio su questo delicatissimo filo.