Almeno, se si vota a luglio, gli italiani potranno distrarsi dalla cocente delusione di non essere alla fase finale dei Mondiali grazie all'infuocata campagna elettorale. Mai come adesso il paragone tra calcio e Politica è calzante: in entrambi i casi, tanto l'eliminazione dell'Italia dalle qualificazioni per Russia 2018, quanto i surreali sessanta giorni trascorsi dalle elezioni del 4 marzo 2018 sono stati la cronaca di un fallimento annunciato. E c'è un'altra cosa in comune: in entrambi i casi è partita una sorta di caccia alle streghe per individuare i responsabili del naufragio.

Fermo restando che l'Italia ormai non è più un Paese di navigatori, il dubbio atroce è che non sia più nemmeno il Paese di calciatori e politici. L'ironia talvolta serve a sdrammatizzare gli eventi, ma venendo a quella che rischia di essere la legislatura più breve della storia d'Italia, più che drammatica la situazione è tragicomica, anzi farsesca.

Governissimo senza numeri, voto a luglio?

Dopo l'infruttuoso ultimo round di consultazioni, altra inutile perdita di tempo viste le posizioni di partiti e coalizioni che non si sono mosse di un millimetro dal 5 marzo scorso ad oggi, Sergio Mattarella è stato costretto ad allargare le braccia: "nessuna maggioranza politica", ha detto il Capo dello Stato, proponendo un esecutivo 'neutrale'.

Il cosiddetto 'governissimo', termine piuttosto improprio visto che, nel gergo giornalistico, viene inteso con tale definizione un esecutivo che abbia una schiacciante maggioranza alle Camere e non necessariamente trasversale. Il governo del Presidente non ha i numeri, nel momento in cui M5S, Lega e Fratelli d'Italia si sono opposti; il PD, come già anticipato da Maurizio Martina, lo supporta e Forza Italia sta tra color che son sospesi.

I berlusconiani si sono limitati a considerare il voto estivo (Lega e M5S insistono per tornare alle urne a luglio) controproducente per quanto riguarda la partecipazione elettorale. "Il confronto elettorale non ci spaventa, ma meglio l'autunno" si legge in una nota del coordinamento nazionale del partito. Se così fosse, resta da vedere quale esecutivo guiderà il Paese da qui ai mesi autunnali.

"Valuteremo con gli alleati la nostra posizione", è la premessa al breve comunicato. A chiedere il voto sotto l'ombrellone sono dunque Matteo Salvini e Giorgia Meloni per quanto riguarda la coalizione di centrodestra e, ovviamente, Luigi Di Maio, leader e candidato premier del M5S. Quest'ultimo va oltre, annunciando che le liste pentastellate saranno le stesse del 4 marzo, ma lasciando nel contempo la patata bollente (nemmeno tanto) nelle mani di Beppe Grillo. "La legislatura praticamente non è mai iniziata e dunque le liste saranno probabilmente le stesse, con l'esclusione dei massoni e di coloro che si sono tenuti i soldi delle restituzioni. La decisione spetta al garante (Grillo, ndr)".

Mattarella, ultima chance

In tanti hanno prospettato lo 'spettro' del governo Monti che, a tutti gli effetti, fu per il premier 'tecnico' un trampolino di lancio verso la politica. Da parte di Sergio Mattarella sono invece partite ampie rassicurazioni che il 'governo di garanzia' terminerebbe in ogni caso il proprio iter a dicembre, ma i cui componenti si dimetterebbero ben prima, nel caso in cui le forze politiche trovino effettivamente un'intesa. "I ministri di questo esecutivo non si candideranno alle elezioni e resteranno super partes". Dunque, niente Monti-bis e, soprattutto, un ulteriore margine per proseguire ufficiosamente le trattative. Il Capo dello Stato ha messo le mani avanti, lasciando la scelta ai partiti, ma considerato che il dibattito successivo alle consultazioni riguarda quasi esclusivamente la data del voto, riteniamo che nemmeno questa proposta sia considerata praticabile.

Di Maio e Salvini, situazioni opposte

Gli stati d'animo di Di Maio e Salvini, fermi oppositori di un governo tecnico, governissimo o governo del Presidente che dir si voglia, sono ovviamente diversi. Il primo può comunque contare sull'unità di un partito, mentre il segretario del Carroccio deve far quadrare i conti e tenere unita la coalizione. Dovrà dunque ricucire qualche strappo di troppo con Silvio Berlusconi perché il centrodestra ha bisogno dei voti forzisti. Alla luce dei dati dello scorso 4 marzo, la coalizione più votata è l'unica che può raggiungere la maggioranza (a meno di un clamoroso ed ulteriore boom pentastellato) anche con il discusso e discutibile Rosatellum e, pertanto, il lavoro di 'sartoria' è di vitale importanza.

I sondaggi danno la Lega in ulteriore crescita, ciò lo si deve ad una maggiore coerenza di Salvini se vista con gli occhi del cosiddetto 'elettorato mobile'. Il 'forno' che Di Maio voleva aprire con il PD non è piaciuto a parecchi cittadini che hanno dato il loro voto al M5S, sebbene dagli stessi sondaggi i grillini mantengano pressoché intatta la propria base elettorale. Entrambi, comunque, hanno chiesto di tornare al voto l'8 luglio e come data ci sembra improponibile perché, normativa alla mano, per renderla possibile bisognerebbe sciogliere le Camere almeno il 9 maggio. Ma Mattarella si appresta a varare il suo 'governo neutrale' che dovrà presentarsi alle Camere per il voto di fiducia. Pertanto, visto che i numeri per la fiducia sembrano pura utopia, si potrebbero indire nuove elezioni per il 15 luglio, ma considerato che i tempi sarebbero comunque molto stretti, è più praticabile la data del 22 luglio.

Governo, Patria e... laboratori del Quirinale

Le stanze del Quirinale sono ancora calde e già spuntano i primi proclami da campagna elettorale. Dalle iperbole di Alessandro Di Battista che, in un post su Facebook, definisce "traditore della Patria chi voterà la fiducia ad un governo tecnico dopo aver detto no al M5S", ai complottismi di Giorgia Meloni che sottolinea, contraddicendo Mattarella, che "nessun governo è neutrale ed i nostri voti non andranno ad un governo nato nei laboratori del Quirinale". I toni li conosciamo bene, ci hanno purtroppo accompagnato tanto nella campagna referendaria del 2016, quanto in quella delle Politiche dello scorso marzo. Quella che un tempo veniva definita 'politica da cortile', oggi da social network, inizia decisamente a stancare.

Papa Paolo VI aveva definito la politica "la forma più alta della carità", intesa come un'etica in base alla quale chi la pratica è, in realtà, al servizio della comunità. In fondo l'azione di chi governa o amministra andrebbe giudicata non dai proclami, ma da ciò che produce per la gente. I partiti in questione alla fine si sono preoccupati di difendere un'identità vera o presunta e, forse più di ogni altra cosa, i propri calcoli a breve o media scadenza. Qualcuno si è dimostrato più coerente di altri, qualcun altro ha voluto provare a mischiare le carte, nessuno si è però curato della necessità di dare un governo al Paese. Ci riferiamo in particolare a chi le elezioni le ha vinte ed è stato idealmente scelto dagli italiani.

Ma costoro hanno preferito affidarsi a sterili proclami e comparsate nella più alta sede istituzionale rappresentata ancora oggi dal Quirinale. Qualcuno dice che bisognerebbe spiegare agli italiani che la politica non è una gazzarra da social network. Ma i primi a doverlo imparare sembrano proprio i leader dei partiti, candidati premier o presunti tali.