A qualche commentatore, come il direttore de l'Espresso Marco Damilano, la conferenza stampa del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte di ieri ha ricordato quella di Enrico Letta nello stesso giorno in cui Matteo Renzi era già arrivato a Palazzo Chigi con una Smart "per dargli il benservito". Crisi di fatto già aperta, quindi.

Conte ha fatto un bilancio del primo anno di governo (la "fase uno"), ha fatto - come fece Letta - una lista di impegni da onorare (la "fase due"), dalla revisione del sistema fiscale e lotta all'evasione agli interventi sulle infrastrutture; ma soprattutto ha parlato, indirettamente ma non velatamente, ai suoi vicepremier, Di Maio e soprattutto Salvini, invitandoli a chiudere la fase di campagna elettorale per le elezioni europee e dedicare al programma di governo, sancito dal famoso "contratto", tutta la concentrazione e l'impegno necessari.

Cosa non va nell'azione di governo secondo il premier

Presentandosi come terzo rispetto alla politica e impegnato solo nei confronti della Costituzione e non degli interessi di partito, Conte ha soprattutto lanciato un ultimatum, peraltro senza scadenza precisa, ai due alleati della maggioranza di governo: o si lavora con leale collaborazione (termine declinato in tanti esempi) o lui si dimetterà.

Per una volta Conte quindi si smarca dal ruolo di mediatore e si prende quello, che non pochi più o meno velatamente sembrano contestare, di premier e garante del governo in carica. Ed elenca le cose che non gli sono andate giù, a partire dallo sconfinamento dei ministri in questioni che non sono di loro competenza, per arrivare ai cambi di linea dopo gli incontri tecnici dove si sono prese delle decisioni, cambi di linea non comunicati direttamente a lui.

E all'entrata a gamba tesa sul lavoro portato avanti da lui e dal Ministro dell'Economia Tria con Bruxelles per evitare la procedura di infrazione.

'Fiducia chiesta alle telecamere'

Un punto di svolta di questa conferenza stampa è stato il fatto che Conte ha ammesso i contrasti nella maggioranza, che finora aveva minimizzato, e l'altro è che, come ha detto Franco Bechis, direttore de Il Tempo, ha chiesto la fiducia alle telecamere anziché alle Camere.

Cosa che comunque molti si aspettano possa fare nei prossimi giorni se la situazione di stallo operativo non rientrerà a breve.

Il ritorno anticipato alle urne, chiesto da tutte le opposizioni, sembra convenire più a Salvini, forte della vittoria europea, che a Di Maio, che invece ne è uscito sconfitto. Anche se, nota qualcuno, Salvini ha vinto in Italia e perso in Europa e i rapporti di forza nel Parlamento italiano non sono cambiati.

La crisi insomma sembra esserci di fatto già in atto, ma nessuno sembra voglia prendersi la responsabilità di "far saltare il banco". Andremo a votare sotto l'ombrellone?