Guardando l'agenda Politica, si avvicina l'appuntamento referendario del 20-21 settembre, data in cui gli elettori italiani saranno chiamati a pronunciarsi sulla proposta di modifica della Costituzione che prevede il taglio del numero dei parlamentari. Il referendum, inizialmente previsto per il 29 marzo e rimandato causa emergenza Covid, si terrà in concomitanza con le elezioni amministrative e regionali, fissate nello stesso weekend.

Il quesito referendario costituzionale è sulla conferma della riduzione del numero dei parlamentari da 945 a 600.

In particolare essi scenderebbero dai 630 attuali a 400 alla Camera e dai 315 attuali a 200 al Senato.

Il testo di legge costituzionale è stato approvato dalla maggioranza assoluta dei due rami del Parlamento ma, dal momento che non c'è stata una maggioranza qualificata dai 2/3 dei componenti, successivamente 1/5 dei senatori ha raccolto le firme per l'indizione del referendum. Trattandosi di referendum confermativo costituzionale, non sarà necessario il raggiungimento del quorum.

In sostanza agli italiani sarà chiesto di confermare se seguire la strada del taglio dei parlamentari sia la soluzione più funzionale ed adeguata per snellire la macchina legiferativa, o se al contrario sarà necessario cercare altre soluzioni più incisive per ottimizzare costi e tempi della politica italiana.

I sostenitori del Sì al referendum

A favore del Sì c'è ovviamente il Movimento 5 Stelle, promotore della riforma, con l'intenzione è quella di rendere più efficiente Camera e Senato, ossia cercare di snellire la mole di emendamenti che rallentano i processi legiferativi. I pentastellati, sul blog ufficiale, scrivono: "Tutti i 630 deputati lavorano in Aula.

Ognuno di essi è un legittimo portatore di emendamenti, istanze a volte di ordine generale a volte particolaristiche. Sono troppi! Così è difficile lavorare, il rischio di un dibattito infinito e troppo frastagliato è sempre dietro l’angolo. Inoltre, quasi 1000 parlamentari in totale portano inevitabilmente ad una maggiore frammentazione tra svariati gruppi parlamentari, che a volte non rappresentano le principali forze politiche presenti nel paese ma gruppetti che servono solo a organizzare la sopravvivenza sulla poltrona.

Un numero più ragionevole di parlamentari obbliga invece ad avere meno gruppi politici, auspicabilmente solo quelli che corrispondono a partiti e movimenti votati dai cittadini".

Lega e Fratelli d'Italia sembrano decisamente schierati a favore della misura. Giorgia Meloni già da mesi ha dichiarato: "una scelta coerente con i nostri voti in Parlamento, sempre a favore della diminuzione dei parlamentari". Così come il leghista Matteo Salvini a febbraio in una conferenza stampa ha dichiarato "Inviteremo tutti a votare per confermare il taglio dei parlamentari".

Il Partito democratico, invece, attuale alleato di governo dei pentastellati, è diviso al proprio interno: in occasione dell'ultima votazione parlamentare il partito guidato da Nicola Zingaretti, ha votato a favore della riforma, dopo essersi opposto nelle prime votazioni.

A sostegno del taglio, il deputato dem e giurista Stefano Ceccanti ha spiegato: "Se vincesse il Sì, avremmo un numero di parlamentari uguale a quello che fu pensato dalla commissione De Mita-Jotti nei primi anni '90, ben prima della crescita delle forze populiste. E onestamente non si capisce per quale motivo dovrebbe essere una riforma anti-democratica". Ma recentemente non sono mancate nel Pd le voci critiche sul provvedimento all'interno del partito, come quella di Matteo Orfini e di Gianni Cuperlo, che hanno invitato a votare No.

Anche in casa Forza Italia i pareri sono eterogenei: molti dei forzisti sono a favore del "Sì", tra cui Maria Stella Gelmini che afferma: "Chi, come Forza Italia, ha, fin dalla sua nascita, sostenuto la battaglia dell'efficientamento della macchina pubblica e della riduzione dei costi e dell'invadenza della politica con pragmatismo oggi non può che sostenere il Sì al referendum confermativo".

Altri forzisti, come Malan, Brunetta e Baldelli si sono invece schierati sul fronte del "No".

I sostenitori del No al taglio parlamentari

Diverse sono le motivazioni del "No" alla riforma. Secondo i contrari alla riforma, questo taglio dei parlamentari penalizzerebbe i cittadini, interi territori, provincie e minoranze linguistiche, che rischierebbero di non essere sostanzialmente più rappresentate in Parlamento. Inoltre si verrebbe a creare un Senato troppo piccolo con un potere troppo grande.

Spiega infatti Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa: "Lasciare la Costituzione identica, tagliando solo il numero degli eletti, con entrambi i rami del parlamento che fanno esattamente le stesse cose, porterà ad avere un senato di 200 persone: troppo poche e con troppo potere.

Questo comporterà che il Senato diventerà una specie di oligarchia. Peraltro, interi territori staranno sguarniti di rappresentanza, cioè tutte quelle zone che non hanno grandi città, e per i giovani sarà più difficile essere candidati ed eletti. Avremo tutti da perdere, il risparmio sarà minimo: non è un taglio dei parlamentari ma della democrazia".

Lucio Malan, vice-presidente vicario di Forza Italia al Senato, aggiunge che "con la riduzione del numero totale dei parlamentari, si introduce anche un’altra stortura: al Senato solo il partito più grande avrebbe rappresentanti, come nelle dittature. Dunque, nelle varie ripartizioni, sulla base dei risultati del 2018, ci sarebbe una percentuale tra il 67 e il 72% di voti che non troverebbero alcuna rappresentanza.

Peraltro, una situazione molto simile ci sarebbe anche nella metà delle regioni italiane. Uno sfregio alla democrazia".

Si è pronunciato sul tema con un post su Facebook anche il movimento delle Sardine, il quali spiega che “tagliando il numero dei parlamentari si mettono in discussione le fondamenta della democrazia parlamentare, con la sua capacità di esprimere il pluralismo e la complessità della società”. Spiegano i referenti del movimento che: “il problema attuale dei nostri rappresentanti non è il sovrannumero, come i populisti vogliono farci pensare, ma la qualità del dibattito e della classe dirigente”, e che con questo taglio verrebbe fortemente indebolita "la centralità del Parlamento, e dunque del popolo, nel sistema costituzionale e democratico”.

Concludono le Sardine che "la democrazia non è economica né a buon mercato“.

Per quanto riguarda gli aspetti inerenti al risparmio economico, si stima un risparmio del 0.007% della spesa pubblica, "Fatto - per l'onorevole Renato Brunetta - senza 'ratio', solo per risparmiare un caffè all'anno".