Si è concluso da pochi giorni a Napoli, il convegno "Innovazione in ambito cardiovascolare e nella ipercolesterolemia", organizzato dalla Società italiana di farmacologia (Sif). E’ stata anche l’occasione per fare il punto sui nuovi anticoagulanti orali (NOAC). Come è noto, una rivoluzione in questo campo dopo decenni in cui, nella prevenzione dell'ictus in pazienti affetti da fibrillazione atriale, l’unica opzione terapeutica era rappresentata dal walfarin. Rispetto a questo, i nuovi anticoagulanti mostrano una pari efficacia e sono meglio tollerati ma, in una minima percentuali di casi, possono dare sanguinamento gastroenterico.

Siamo nell’era dei NOAC

Il walfarin (Coumadin®) è stato per oltre mezzo secolo il farmaco antitrombotico più usato ovunque. La sua scoperta avvenne per caso, in quanto negli anni ’30 in allevamenti degli Stati Uniti, aveva causato una moria di animali alimentati a trifoglio, particolarmente ricchi di walfarin. Il suo potente effetto anticoagulante fu inizialmente sfruttato come topicida poi, essendo gli effetti facilmente antagonizzati dalla vitamina K, fu usato anche nell’uomo. Unico problema era, ed è, il monitoraggio (ematico) per adeguare continuamente il suo dosaggio che può variare a causa di molteplici fattori.

Da qualche anno, nella prevenzione dell'ictus in pazienti affetti da fibrillazione atriale, sono arrivati sul mercato i primi anticoagulanti orali che invece di antagonizzare la vitamina K agiscono con un meccanismo differente: sono inibitori diretti della trombina, comunemente chiamati NOAC (Non-vitamin K Oral AntiCoagulant).

Ad una fase iniziale di scetticismo, anche da parte degli specialisti, man mano che si sono accumulati dati dalla pratica clinica, siamo arrivati ad un punto dove tutti concordano sui vantaggi di questi farmaci rispetto a quelli della generazione precedente.

Rispetto al walfarin, i NOAC sono meglio tollerati e più sicuri. Ad es., si è osservato una forte riduzione (dal 35% al 64%) del rischio di emorragie cerebrali e non richiedono alcun monitoraggio ematico, evitando così ai pazienti, continui prelievi di sangue e conseguenti modifiche della posologia.

Ma in una minima percentuale di casi (20-25%), i NOAC hanno mostrato un aumento del rischio di sanguinamento gastroenterico.

E’ quanto ha dichiarato Giovanni Di Minno, docente di Clinica Medica dell'Università Federico II di Napoli, in una tavola rotonda sugli "Aspetti clinici dei NOAC" durante il convegno di Napoli. “In realtà - aggiunge Di Minno - esiste una serie di possibilità, intese come caratteristiche cliniche, che permettono di identificare da subito queste persone a maggiore rischio di sanguinamento”.

Il gioco vale la candela

I pazienti a rischio sanguinamento gastroenterico possono essere identificati tra quelli con episodi pregressi di sanguinamento, o che sono in trattamento per un'ulcera peptica, in terapia con inibitori di pompa protonica, ipertesi oppure che hanno una bronco-pneumopatia cronica enfisematosa.

Le emorragie del tratto gastroenterico si distinguono in emorragie del tratto gastrointestinale alto (a livello gastrico) e del tratto gastrointestinale basso (a livello intestinale)”. Con il wafarin prevalevano le prime (75% alte verso 25% basse) mentre con i NOAC alcuni si comportano come il walfarin altri possono dare, con maggiore frequenza, emorragie intestinali. Questo vuol dire che il medico più scegliere l’anticoagulante giusto, a seconda dei casi.

Altro vantaggio dei NOAC, rispetto al walfarin, è l’assenza di interazioni con vari farmaci ed erbe medicinali. Questo consente di avere una posologia costante, senza la necessità di sottoporsi a continui monitoraggi per adeguare la posologia. Ovviamente, in tutti i casi è sempre il medico che deve valutare se ci sono le condizioni per prescrivere un anticoagulante, e se è il caso, quale è quello compatibile con le nostre condizioni complessive.