La crisi economica, a quanto pare, non solo ci toglie il sonno con quotidiane preoccupazioni e il timore del futuro, ma aumenta il rischio di essere colpiti da un attacco cardiaco: fattori determinanti sarebbero, oltre al basso reddito, anche un recente divorzio. Questi risultati emergono da uno studio presentato durante un congresso, in questi giorni a Roma, della 'Società Europea di Cardiologia'. La ricerca, condotta da un gruppo di ricercatori di Stoccolma (Karolinska Institutet) è stata effettuata su circa 30mila cittadini: un basso reddito - secondo i dati raccolti - aumenta il rischio di essere colpiti da un infarto del 14%, dopo un divorzio, e addirittura del 36% quello di un secondo attacco cardiaco.

Allarme infarto a causa della crisi nel mondo

I ricercatori, dopo aver esaminato i risultati dello studio, lanciano l’allarme sull'aumento delle malattie cardiovascolari, che va di pari passo con la crisi economica nel mondo. L’Italia, purtroppo, non fa eccezione: lo confermano i dati dell’'Oms' (Organizzazione mondiale della sanità). Un secondo studio -pubblicato sull’‘European Heart Journal', condotto dall'università di Oxford e basato sui dati più recenti dell’Oms in 52 Paesi - le malattie cardiovascolari sono state superate come numero dai tumori, causa principale di morti sia in Italia che in altri Paesi europei. Ma ictus e infarti continuano a suscitare timore.

I ricercatori svedesi, attraverso i dati raccolti, hanno individuato un forte legame tra disturbi cardiovascolari e status socioeconomico in pazienti che, dopo aver subìto un primo attacco cardiaco, erano stati colpiti da patologie coronariche croniche.

Donne e uomini in una fascia d'età compresa tra i 40 e i 76 anni, sono stati messi sotto controllo per un periodo di 4 anni e poi sottoposti a una nuova visita entro i 15 mesi dopo il primo attacco cardiaco, incrociando i dati raccolti con quelli relativi al livello di educazione, lo status familiare e al reddito percepito nell’anno precedente all’infarto: l’8% dei pazienti, cioè 2.405 persone, in questo lasso di tempo ha avuto un secondo attacco cardiaco; tra il livello economico e quest’ultimo è stata evidenziata in modo netto una evidente associazione.

Anche in Italia infarti in aumento

Il medico autore dello studio, Joel Ohm, ricorda come oggi i trattamenti disponibili aumentano la possibilità di sopravvivere a un attacco di cuore, rispetto al passato: in Svezia, per esempio, è stato colpito da ictus o infarto un quinto della popolazione adulta. Lo stato socioeconomico - secondo i ricercatori - dovrebbe essere incluso nella valutazione dei possibili rischi nella prevenzione, dopo il primo attacco cardiaco.

Veniamo all'Italia:i dati Istat del nostro paese confermano che vivono in condizioni di assoluta povertà circa un milione e 470mila famiglie (cioè il 6,8% dell’intera popolazione). Ecco perché Michele Gulizia (direttore Cardiologia ospedale Garibaldi Catania), durante la presentazione della ricerca al congresso romano, ha sottolineato la sua preoccupazione relativa alla Salute degli italiani, messa a rischio dalla crisi economica e dai relativi tagli alla sanità pubblica: in poche parole, tutti i progressi fatti negli ultimi decenni stanno andando in fumo.

Emergenza sanità pubblica

Michele Gulizia spiega: 'In ospedale si muore di meno, è vero, ma è altrettanto vero che i pazienti ricoverati di nuovo dopo le dimissioni aumentano, in parte perché non possono sostenere il costo delle medicine necessarie, spesso non coperte dal servizio sanitario, in parte a causa della mancanza di posti letto negli ospedali.

La gravissima crisi economica - aggiunge Gulizia - ha prodotto una lunga schiera di famiglie in serie difficoltà, anziani con pensioni da fame e disoccupati che non possono provvedere in modo adeguato alle cure delle proprie malattie: in poche parole, si tratta ormai di una vera e propria emergenza sanitaria'.