A chi di voi è mai capitato di cadere nel vuoto durante il sonno? La risposta ce la dà la scienza: secondo una ricerca condotta dalla Mayo Clinic, il 70 % delle persone afferma di aver provato lo “spasmo ipnico”, ossia l’inquietante sensazione di precipitare da un gradino, da un albero o dal tetto di un palazzo.
Il 17 marzo 2017 si è svolta la Giornata Mondiale del Sonno, organizzata annualmente dalla World Sleep Society per richiamare l'attenzione in tutto il pianeta sull’impatto che la qualità del sonno ha sul benessere di ognuno, sulle peculiarità dei sogni e sui disturbi connessi ad un'attività che occupa un terzo della nostra vita.
In questo contesto grande curiosità occupa il fenomeno dello spasmo ipnico, di cui spesso ignoriamo le cause.
Perché nel sonno ci sembra di cadere?
Da un punto di vista fisiologico si tratta di contrazioni involontarie del corpo (mioclonie) vissute oniricamente dalla persona come un “salto” corredato da una buona dose di panico e spavento, che può verificarsi in due diverse profondità del sonno: quando ci si addormenta durante i primi minuti oppure nella fase Rem, nel pieno svolgimento del sogno.
Nel primo caso lo strano fenomeno è dovuto al fatto che, nel momento di transizione dalla veglia al sonno, i muscoli si rilassano ed il ritmo della respirazione si abbassa considerevolmente: questo fatto viene frainteso dal cervello che lo interpreta come un pericolo di morte, per cui il sistema nervoso invia uno stimolo salvavita che contrae i tessuti e procura il brusco risveglio.
In questo caso è il movimento a scatti del corpo a partorire il sogno e non viceversa, come invece avviene nella fase Rem.
Durante questa fase, caratterizzata da un’intensa attività cerebrale, lo spasmo è legato ad un fattore psicologico dovuto al contenuto del sogno, nell’ipotesi in cui la trama onirica sia particolarmente coinvolgente e preveda al contempo la caduta da un’altezza.
In questo caso scatta nel dormiente la sensazione di pericolo, che può essere così forte e realistica da esigere per difesa un risveglio immediato dall’incubo. È l’aspetto emotivo scaturito dal sogno a riflettersi sul corpo e sui tessuti: in un batter d’occhio torna in azione il cervello, pronto anche in questo caso a salvarci dal gradino, dalla caduta in pubblico o da una torre.
In entrambi i casi, nel momento in cui il dormiente percepisce lo shock dovuto alla perdita di sostegno, esige un salvifico ritorno alla coscienza. Sognare, si sa, è una delle attività più strane, affascinanti e misteriose che la mente possa realizzare. In tutto questo, però, una curiosità sorge spontanea: cosa accadrebbe se qualcuno riuscisse a resistere alla percezione del vuoto, continuando così a dormire e a scoprire cosa lo attende nel resto del sogno?
Per rispondere ad una domanda così bizzarra chiediamo aiuto a una bambina inglese di 7 anni vissuta in età vittoriana. Non è uno scherzo! Si tratta Alice nel Paese delle Meraviglie, creata dalla mente di Lewis Carroll. Come ricorderete Alice si addormenta all’ombra di un albero, e mentre sogna di seguire un Bianconiglio precipita nella sua tana.
La protagonista non si sveglia in preda al panico della caduta, ma coraggiosa continua a sognare. È dall’altra parte del vuoto che l’aspetta una straordinaria avventura nel mondo sottosopra, pieno di nonsensi e personaggi incredibili: il Paese, appunto, delle meraviglie.
“Sogno o son desto?” direbbe Amleto pieno di dubbi. A noi basta sapere che il sogno, sia che si esplichi nella parte più recondita dell’inconscio o che dia vita ad un capolavoro della letteratura, è l’unico viaggio capace di aprire la finestra dell’io verso sbalorditivi orizzonti, dove l'uomo può sperimentare leggi fisiche paradossali, abolire lo spazio-tempo e sganciarsi dal tedio della realtà. “E se smettesse di sognare di te dove credi che saresti?” “Dove sono ora”, ribatté Alice. “Niente affatto” disse Piripù sprezzante. “Non saresti in nessun luogo. Perché tu sei soltanto un qualche cosa dentro il suo sogno.”