L'Islanda, il Paese più a nord dell'Europa, sta per raggiungere un record alquanto insolito, la scomparsa dei bambini down su tutto il suo territorio. Negli ultimi anni sono nati, in media, uno-due bambini all'anno affetti dalla sindrome down. Un fatto che, nelle ultime ore, ha dato il suo contribuito ad accendersi di numerose discussioni. Qualcuno, addirittura, ha scomodato la parola eugenetica, la quale richiamo il tetro regime nazista della prima metà del Novecento. In realtà non si tratta nulla di tutto ciò. E ci mancherebbe, visto che, storicamente, l'Islanda è un Paese che presenta elevati standard di vita, se non fosse che un terzo della popolazione si concentri nella capitale dell'isola, Reykjavik, che oggi conta 120 mila abitanti, e che in estate difficilmente le temperature raggiungono i 20 gradi.
La scelta
Il motivo della scomparsa progressiva dei bambini down in Islanda è da ricondurre semplicemente alla scelta che le donne islandesi incinta fanno. Grazie ai test prenatale, si ha la possibilità di scoprire eventuali anomalie cromosomiche. La tendenza degli ultimi anni è quella di interrompere la gravidanza. Una scelta presa in autonomia dalla donna, che decide di porre così fine alla vita del feto attraverso un aborto. Una scelta condivisibile per tanti, altri invece preferiscono andarci con i piedi di piombo. Secondo la presidente italiana dell'associazione Coordown, prima di abortire si deve avere la possibilità di conoscere fino in fondo che cosa significa crescere un bambino affetto dalla sindrome di Down e tutte le conseguenze che una decisione, in un senso o nell'altro, ha sugli equilibri della famiglia eccetera.
Antonella Falugiani, numero uno di Coordown, non critica la libertà di scelta lasciata alle islandesi di abortire, diritto per il quale le donne si sono battute strenuamente, ma pone l'attenzione sulla conoscenza reale di cosa significhi essere madre, genitori, di un bambino down.
Come funziona l'aborto in Islanda
Il Paese a Nord della penisola scandinava consente alle donne di abortire anche dopo le prime 16 settimane, qualora fossero rivelate anomalie nel feto, inclusa la possibile presenza della Sindrome di Down.
Prima, durante e dopo la procedura di aborto, capita spesso che la donna venga affiancata da una psicologa, che ha il compito non semplice di accompagnarla in questo cammino. Gli psicologi cercano di allontanare gli eventuali sensi di colpa della donna madre, concependo l'aborto a un qualcosa che mette fine ad una situazione che potrebbe diventare difficile, sia per il bambino che per la famiglia.
E' proprio su questo tasto che invece replicano coloro che si battono per la difesa dei diritti dei bambini, ragazzi, adulti con la sindrome Down, rispondendo con la cultura dell'inclusione e della ricerca scientifica.