Si può allungare la vita, vivere di più? Fino a ieri le risposte a tale quesito riguardavano perlopiù una dieta equilibrata e uno stile sano e regolare, che potevano ridurre le probabilità di andare incontro a determinate malattie, favorendo così una vita più lunga. Oggi la risposta sembra essere racchiusa in una proteina. Questa particolare mutazione, infatti, sembrerebbe essere in grado non solo di allungare la vita, ritardando la vecchiaia, ma perfino di preservare la Salute dalle malattie, più o meno gravi, a cui si va incontro in età avanzata.

A condurre la ricerca è stata l’University of Texas Southwestern Medical Center.

La proteina beclin-1

I ricercatori dell’UT Southwestern avevano già individuato lo straordinario potere di questa proteina in un precedente studio sull’Alzheimer: i topi affetti da questa malattia che erano stati sottoposti alla mutazione della beclin-1, di fatto, riportavano miglioramenti a livello cognitivo. Approfondendo gli studi su questa proteina, gli scienziati hanno scoperto che la sua utilità non si limita all'Alzheimer, che di per sé è già una bella conquista: la beclin-1 sembra sia in grado di prolungare la vita del più dell'11%.

Questo avviene perché nel momento in cui si ritarda l’invecchiamento, sembra che si ritardi anche lo sviluppo di tutte quelle malattie ad esso associato.

Come ci riesce, però? Il meccanismo in cui questa proteina è coinvolta è quello dell’autofagia, un processo che consente alle cellule di degradare le sue componenti danneggiate e di riciclarle. Più le cellule si 'puliscono' più la vita sembra allungarsi e la salute migliorare. Quando si invecchia, questo processo si riduce. Una mutazione della beclin-1, allora, eviterebbe la riduzione di questo meccanismo.

Quali sono le possibili applicazioni future?

Sebbene questi studi siano stato condotti esclusivamente sui topi e per tanto la validità di queste ricerche e si limiti a loro, i ricercatori si sono già chiesti come e quando ricorrere alla mutazione della proteina beclin-1.

Sperano, intanto, in una sua possibile applicazione contro l’invecchiamento precoce e le malattie che questo comporta. Dal momento che l'autofagia si rivelata utile anche nel trattamento dell'Alzheimer (sempre nei topi), non si esclude la possibilità di riuscire, in futuro, a curare malattie neurodegenerative, aumentando proprio questo meccanismo cellulare.