La sifilide, nota anche come "malattia della vergogna", comparve in Europa nel 1493, poco dopo che Cristoforo Colombo scoprì l'America. In una mostra che si sta svolgendo in questi giorni a Roma viene spiegato come tale malattia venerea sia arrivata nel Vecchio Continente, diffondendosi rapidamente nel giro di pochi anni e causando moltissimi morti. La mostra, curata da Gaspare Baggieri, sarà presente al Museo delle Civiltà- Museo dell’Alto Medioevo «Alessandra Vaccaro» fino al prossimo 30 Giugno.
Il paziente zero fu un sovrano
Sembra alquanto difficile da credere, eppure fu un sovrano a contrarre fra i primi la malattia e a portarla in Europa: si tratta di Carlo VIII di Valois che, noto per le sue fantasie sessuali, diffuse in particolare la malattia a Napoli.
Fu il primo paziente su cui fu documentata la presenza di tale malattia e a rivelarlo fu il medico veneziano Alessandro Benedetti in un suo scritto che presentava la sifilide come una malattia che donava alle vittime un aspetto ripugnante, provocando forti dolori, peggiori rispetto a quelli provocati dalla lebbra. Molte di queste vittime perdevano gli occhi, il naso, le mani o i piedi a causa delle ulcere che si presentavano sul corpo.
I marinai di Colombo portarono la sifilide in Europa
In realtà, la malattia della vergogna fu portata in Europa dai marinai di Cristoforo Colombo che contrassero la malattia nelle Americhe sia attraverso rapporti sessuali che tramite i tatuaggi che erano soliti farsi.
Una volta giunta a Barcellona, la sifilide acquisì una maggiore resistenza trasformandosi in una vera e propria epidemia. Ad essere contagiate furono anche tante mogli di marinai e braccianti, ignare della malattia contratta dai mariti: purtroppo, furono spesso ripudiate dai loro stessi mariti e per sopravvivere si trasformarono in schiave del piacere, aumentando ancor di più la diffusione del batterio.
I rimedi alla sifilide
Nel 1493, quando l'Europa venne a conoscenza per la prima volta di questa malattia, cercò di trovare un rimedio: furono interpellati medici, farmacisti, speziali e ognuno di essi suggerì un rimedio. C'è chi optò per salassi e purganti, chi per pratiche di stregoneria come rane sezionate o galli neri applicate sulle piaghe; altri optarono per l'oppio al fine di alleviare i dolori o per un decotto di legno santo che si faceva bere al malato.
Tutti questi metodi si rivelarono inutili e perciò si seguì la strada delle saune di mercurio: naturalmente, tali fumi metallici bruciavano le ulcere della pelle, ma distruggevano gli organi interni dei malati che morivano nel giro di qualche giorno.
Tra tutti questi rimedi fasulli, ci fu chi capì effettivamente l'origine del problema e suggerì l'utilizzo di preservativi di tela, imbevuti di genziana o altri sciroppi, oltre a suggerire una maggiore igiene. Solo nella prima parte del Novecento, con la scoperta della penicillina, la malattia venne definitivamente guarita ed oggi, sebbene sia ancora presente, è facilmente curabile con iniezioni di antibiotico.