Chiamato in causa sull'argomento, il virologo italiano Giulio Tarro, candidato per ben due volte al premio nobel e nominato medico dell'anno in America per l'anno 2018, ha spiegato perchè l'immunità di gregge, principio sul quale il governo britannico potrebbe fondare la propria politica di lotta al coronavirus, abbia una sua logica.
'È quella che normalmente si cerca di ottenere con una vaccinazione verso un determinato agente che può essere un virus o un batterio. Attraverso questa si riesce ad ottenere il 95% della risposta immunologica delle varie persone, per questo si parla di "gregge' ha esordito Tarro per spiegare che cosa sia l'immunità di gregge e a che cosa miri nello specifico.
'L’altro 5% che rimane, è legato o a situazioni in cui non vengono consigliate le vaccinazioni perché sono persone in stato di immunodepressione, quindi non avrebbero una risposta valida' ha proseguito Tarro, che ha inteso in questo primo passaggio porre in evidenza il funzionamento del concetto.
Immunità di Gregge, il caso 'Johnson'
'Credo che il primo ministro inglese non avrebbe mai preso una decisione così se non avesse consultato chi di dovere. Sono certo che alle spalle potrebbe esserci l’Università di Cambridge o quella di Londra' ha dichiarato al riguardo Tarro, sicuro di come il Premier britannico avesse in qualche modo le spalle coperte o una qualche evidenza scientifica dietro al proprio pensiero.
In buona sostanza, Johnson potrebbe voler 'solamente' far circolare liberamente il virus in tutta la popolazione per debellarlo in maniera 'naturale' proteggendo comunque le persone più esposte, anziane o con patologie pregresse.
'C'è una logica in questo - ha chiarito Tarro - È anche bene avere la mente che possa spaziare.
Colombo ha scoperto l'America perché ha deciso che magari c'erano le Indie da quel lato'. Una logica che resiste solo perché il Coronavirus nel 98% dei casi non è letale, in caso di mortalità più diffusa sarebbe da escludere. La politica britannica potrebbe mettere a rischio il resto d'Europa chiamata poi a dover affrontare nuovi focolai?
'Presumo di no, perché se il virus circola produrrà un'infezione e l'infezione porterà anche la risposta dell'organismo con degli anticorpi, quindi questi saranno soggetti che saranno immuni'.
In conclusione il virologo ha cercato di spiegare perché il coronavirus non sembra essere molto infettivo o pericoloso per nei bambini: 'Fino a sei mesi sono protetti dagli anticorpi materni. Successivamente hanno come dire l'esperienza di incontrare un microbo per volta, verso il cui hanno una risposta immunologica (...) Loro hanno “l’immunità innata”, che è indipendente dalla formazione degli anticorpi, per questo in un certo senso, non hanno i problemi che hanno gli adulti'.