Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx. Probabilmente Michele Scarponi non voleva scappare da un paese con meno di diecimila abitanti. Non voleva scappare da una vita sportiva che nemmeno nei momenti difficili gli ha tolto il sorriso. Difficile parlare di una persona quando la conosci per pochi minuti durante un'intervista, dove spesso l'esaltazione la faceva da padrona. Non è facile scrivere quando senti tua una tragedia pur non conoscendo una persona.

La senti tua perché hai praticato quello sport e sai benissimo cosa vuol dire soffrire e avere le gambe pesanti per una salita infinita. Hai paura dopo quello che è successo a Michele, perché su una strada ci sei anche tu ad allenarti. E una tragica fatalità può capitare a chiunque. Incolpare qualcuno è anche riduttivo, scomodare chi avrà un animo già tormentato di suo è umanamente straziante.

L'ultimo saluto a Michele Scarponi

Ieri Filottrano era più popolosa rispetto al solito, c'erano facce conosciute e non. Sicuramente ci sarà stato un silenzio assordante, rotto soltanto dalla commozione di chi non potrà più abbracciare Michele, o da chi non potrà scambiare più una pacca sulla spalla con chi aveva in tasca sempre un sorriso pronto per ogni evenienza.

Sagan, Nibali, Aru, ma anche Mario, Luca e tanti altri sconosciuti che probabilmente non sono professionisti ma che hanno sentito questa morte improvvisa arrivare come un pugno dritto sulla bocca dello stomaco. Il Giro d'Italia più importante partirà senza uno dei suoi protagonisti. E questo aumenta soltanto quel senso di tristezza che ieri ha avvolto non solo un piccolo paese, ma un' intera nazione.

Difficile scrivere parole non al miele, difficile non scadere nel banale. Difficile anche non commuoversi alla vista del pappagallo Frankje che si posa su un cartello vicino al punto dove Michele è scomparso. È incredibile come il mondo animale sia così vicino a quello umano, come un compagno di vita come quel simpatico pappagallo che volava accanto a Michele ora sia straziato quanto chi ama il campione.

Modi diversi d'amore, ma pur sempre sentimenti forti.

Un pugno nello stomaco che ha svegliato tutti, una presa di coscienza che ti prende e ti sveglia da un torpore. La tua comfort zone non esiste più, la tranquillità scompare. La morte ti rende comune mortale, ti fa capire come la scomparsa di un ciclista professionista che conoscevi attraverso il filtro della televisione sia più vicina di quanto pensi. Michele Scarponi non c'è più, un altro ciclista ha lasciato tutti. Non è una questione di professionismo o meno, è una questione di persone, di uno sport fatto di fatica e di sudore. Ne abbiamo visti di campioni andarsene via del previsto, di uomini che hanno dato più di una vita a due semplici ruote.

Uno sport affascinante quanto pericoloso, che non lascia spazio ad altre interpretazioni. Aprire i quotidiani e vedere soltanto la foto della moglie Anna accovacciata sulla salma ha scatenato un senso di dolore difficile da riportare su carta. La semplicità che ti colpisce, l'ingombrante pacatezza di quel sorriso innocente vivo su quelle due creature con non potranno più abbracciare il loro papà al termine di un allenamento. La semplicità disarmante di una foto di un pappagallo accovacciato sul luogo dove Michele ha perso la vita, come a dire "Io ci sono amico, sono ancora qui con te". E anche se tutti noi non abbiamo la possibilità di volare ed essere nel luogo dove vogliamo come Frankje, cercheremo di raccontare alle future generazioni chi eravate tu, Marco Pantani, Fabio Casartelli e Franco Ballerini.

E tutti quelli che hanno deciso di farci piangere non per una vittoria o una sconfitta, ma per qualcosa di molto più importante. Ciao Michele, è stato un piacere conoscere le tue doti sportive. Ora sei nell'Olimpo dei grandi. Non dei grandi ciclisti. Ma dei grandi uomini. E per entrarci non basta vincere soltanto un grande Giro o una banale corsa.