Oltre ai risultati e agli spunti tecnici della corsa, la Vuelta España sta offrendo un altro caldissimo tema di discussione. Con i casi di Pavel Sivakov e di Simon Yates, riscontrati prima del via della tappa di ieri, 31 agosto, a El Pozo, è salito a ventuno il numero di corridori risultati positivi al Covid-19 e costretti quindi al ritiro. Il protocollo che gestisce l'emergenza sanitaria prevede tre controlli obbligatori, previsti nelle giornate di riposo della corsa, ma i corridori sono stati sottoposti ad altri test aggiuntivi, voluti dalle squadre.

In molti si sono lamentati per questa situazione, che ha costretto al ritiro dei corridori in lotta per le parti alte della classifica generale e del tutto asintomatici, e che rischia di falsare l'esito finale della Vuelta España.

Kirsch: 'Al Tour ero malato ma sono partito'

I ritiri forzati di Yates e Sivakov, entrambi asintomatici, e i continui test a cui i corridori vengono sottoposti, hanno fatto alzare la sensazione di insofferenza in mezzo al gruppo. Diversi ciclisti hanno chiesto di modificare e allentare i protocolli, evidenziando come ormai la situazione non sia più quella di due anni fa e che il mondo Ciclismo non si sia adeguato a questa evoluzione.

Al via della tappa di oggi della Vuelta España, quella che porta il gruppo da Salobreña all'arrivo in salita di Peñas Blancas, in mezzo al gruppo è stato palpabile il nervosismo per quanto sta succedendo sul fronte del Covid. "Forse non è una risposta corretta da dare, ma dovremmo smettere di fare i test" ha dichiarato senza mezzi termini Alex Kirsch, lussemburghese della Trek-Segafredo. Kirsch ritiene che il Covid andrebbe ormai trattato come un qualsiasi altro problema di salute, lasciando al corridore la possibilità di continuare la Vuelta o ritirarsi, a seconda anche sei sintomi e della situazione di salute generale. "Al Tour de France sono stato malato per alcuni giorni, ma non era Covid e ho potuto prendere il via delle tappe" ha ricordato il corridore della Trek.

Teunissen: 'La vita è tornata alla normalità, il ciclismo no'

Sulla stessa lunghezza d'onda si è espresso il belga della Quick-Step Dries Devenyns. "È impossibile da gestire se continuiamo a fare test. Se lo facciamo, ogni giorno tornano a casa uno o due corridori" ha dichiarato Devenyns, aggiungendo che la società è tornata a una vita quasi normale, mentre il ciclismo è rimasto fermo a un protocollo rigido, rendendo il tutto molto complicato. "È difficile per noi tenere tutto sotto controllo se il resto della società si comporta in modo normale. Forse dovremmo cominciare a dare meno importanza al Covid. Mandiamo a casa i ragazzi che sono malati, altrimenti trattiamolo come una normale malattia" ha dichiarato il belga.

Intervistato dalla tv spagnola RTVE, il capo della Vuelta España, Javier Guillen, ha spiegato che sono le squadre stesse ad aver aumentato i test previsti dal protocollo e che questo ha moltiplicato i casi e i ritiri. "Ci sono tre test obbligatori da parte dell'organizzazione. Le squadre non devono testare i loro corridori, ma lo fanno. Perché lo facciano andrebbe chiesto alle squadre, presumo per avere un certo controllo" ha risposto Guillen.

A mettere la chiosa sulla questione prima del via della tappa è stato Mike Teunissen: "La vita è tornata alla normalità, ma questo non è il caso del ciclismo, speriamo almeno di arrivare a Madrid con un numero decente di corridori" ha dichiarato l'olandese della Jumbo-Visma.