Sono stati firmati il 4 marzo, a Milano, gli accordi che mettono fine alla controversia tra l'Amministrazione Straordinaria dell'ex Ilva e la multinazionale Arcelor Mittal e modificano il contratto di affitto e d'acquisizione degli impianti industriali tarantini. Ecco alcuni dei punti salienti del nuovo accordo:
- penale di 500 milioni di euro, che la multinazionale franco-indiana dovrebbe corrispondere, entro la fine dell'anno, in caso di recesso anticipato dal suddetto contratto;
- impegno ad impiegare 10.700 dipendenti entro il 2025;
- graduale de-carbonizzazione dello stabilimento attraverso l'uso di forni elettrici, di acciaio pre-ridotto, di una riduzione del 30% del carbone attualmente usato e dell'adozione di tecnologie di minor impatto ambientale;
- rifacimento dell'Altoforno 05 entro il 2025;
- completamento delle attività legate all'Aia (Autorizzazione Ambientale Integrata);
- ritorno della produzione a livelli ottimali (8 milioni di tonnellate annue, contro i 4,7 attuali);
- divisione a metà tra Arcelor Mittal e lo Stato italiano del costo dei lavori che servono a rendere gli Altoforni 1, 2 e 4 conformi alla prescrizioni della Procura della Repubblica.
Accordo bocciato dai sindacati: 'Così si crea solo una situazione di stallo'
Disappunto per il contenuto dell'accordo è stato espresso dai sindacati tramite un comunicato firmato dai responsabili di Uil, Uilm, Cisl, Cgil, Fiom e Fim, nel quale si sottolinea che "il negoziato avvenuto da novembre 2019 non ha visto alcun coinvolgimento delle organizzazioni sindacali" e che con questa firma si è creata "una situazione di stallo, da qui a novembre, per quanto riguarda le prospettive e l'esecuzione del piano industriale".
I sindacati, insomma, bocciano unanimemente l'accordo, sottolineando l'aumento dei lavoratori da porre in cassa integrazione rispetto all'accordo del 2018, la mancanza di una manifestazione d'intenti chiara e univoca da parte dell'investitore e rimarcando l'incertezza che riguarda l'ambito sanitario, occupazionale e produttivo; perplessità anche sui lavori che riguardano gli altiforni, sia per la dilatazione temporale che per quanto riguarda gli investimenti necessari, giudicati insufficienti.
Il sindaco Melucci resta fermo sulla sua decisione
Pochi giorni prima della firma dell'accordo il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, si era rivolto al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, chiedendo di "interrompere ogni dialogo con questi signori, con i quali non c'è più nulla da fare", aggiungendo che "la città di Taranto è stanca e stremata" e che "se non cambiano radicalmente le condizioni, si rende necessario lavorare insieme per chiudere la fabbrica".
Melucci, infatti, ha firmato un'ordinanza con cui chiede formalmente ad Arcelor Mittal e all'Amministrazione Straordinaria dell'ex Ilva di risolvere entro 30 giorni le anomalie che continuano a produrre un aumento delle emissioni inquinanti a Taranto, come confermato recentemente dall'Arpa; in caso contrario il sindaco si è detto pronto a fermare gli impianti entro 60 giorni.
Dura la reazione dei Commissari, che hanno reputato "sproporzionata, inappropriata e illegittima l'ordinanza del sindaco di Taranto", dicendosi "pronti a impugnarla dinanzi alle autorità competenti". A seguito della firma dell'accordo, Melucci ha dichiarato: "Non so cosa abbiano firmato, su cosa si stiano accordando, su quale città e quale impianto.
Noi abbiamo detto a chiare lettere, anche al Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, che sull'area a caldo e sulla valutazione dell'impatto sanitario non torniamo indietro. Non so dove vogliono arrivare con questa firma senza il territorio".
"Serve che la città rimanga lucida e unita, noi stiamo lavorando ogni giorno per irrobustire la nostra azione. Ha poco senso ratificare a Roma scelte prese altrove e senza di noi. Sto cercando Conte da ieri, in questo momento ha tante emergenze ma aspetto di parlare con lui" ha concluso Melucci. Parole importanti da parte del primo cittadino che, nonostante appaia provato e deluso dagli ultimi sviluppi, dichiara di non aver alcuna intenzione di venir meno all'impegno preso.
La denuncia di un operaio: 'Gli impianti stanno andando in rovina'
Nel pomeriggio del 24 febbraio è avvenuto un ennesimo incidente, fortunatamente senza vittime, nella fabbrica tarantina; nel reparto CC (colata continua) dell'Altoforno 01, infatti, si è sprigionato un grosso incendio a causa di una fuoriuscita di acciaio incandescente, entrato in contatto con del materiale oleoso. Il reparto è stato parzialmente evacuato, mentre sul web venivano diffuse le immagini della fiammata che ha provocato comprensibile spavento tra gli operai.
"Questa è la sicurezza che la multinazionale garantisce ai suoi lavoratori" ha replicato Francesco Rizzo, coordinatore provinciale dell'Usb di Taranto. "Dopo l'ultimo incidente mortale era stata creata una task force che avrebbe dovuto attuare una serie di lavori, ma non è stato fatto assolutamente nulla; ci sono mille lavoratori che respirano tutti i fumi prodotti in quel reparto perché non ci sono cappe di aspirazione." Rizzo ha inoltre confermato i dati prodotti dall'Arpa riguardo le emissioni inquinanti, i cui "livelli non sono scesi ma hanno, anzi, subito un peggioramento".
In conclusione, sono ancora tante le criticità che caratterizzano le sorti della fabbrica tarantina e, conseguentemente, dei cittadini. Dal livello occupazionale alle problematiche ambientali e sanitarie, fino alla sicurezza degli stessi impianti e dei lavoratori, sono ancora tanti i nodi da sciogliere e per i quali, oltre agli ennesimi accordi scritti, non c'è ancora nulla di concreto. "Si scrive migliorare, si legge rimandare", scrive Alessandro Marescotti sul sito di 'PeaceLink', "ma in questo caso ogni anno di ritardo è costellato da danni sanitari".
La nota positiva riguarda sicuramente la presa di posizione dell'amministrazione comunale, che resta ferma nel suo intento di salvaguardare la Salute della comunità tarantina.