Nata nel 2011, la cedolare secca è un istituto che è largamente usato nei contratti di affitto. Si tratta del famoso regime alternativo alla tassazione ordinaria che presenta numerosi vantaggi in termini fiscali per i proprietari di immobili ma anche per i soggetti che pagano il fitto. Il nuovo Decreto Fiscale, collegato alla Legge di Bilancio che dal 1° gennaio è in vigore, ha risolto anche un problema relativo alla comunicazione di proroga a cui sono tenuti i soggetti interessati. Ma come funziona la cedolare secca e cosa cambia nel 2017?

Di cosa si tratta e come aderire

La cosiddetta cedolare secca è di fatto un regime di tassazione relativo alla locazione di unità abitative iscritte in catasto e che rientrano nelle categorie comprese tra A1 e A11. Va sottolineato però come non può essere utilizzata per uffici, studi professionali che di norma il catasto riporta in categoria A10. La cedolare secca può essere utilizzata anche per le pertinenze relative agli immobili oggetto del contratto di locazione. Il regime alternativo può essere utilizzato solo da persone fisiche private e non da imprese, aziende, professionisti o simili. In altri termini, la cedolare secca è una forma di tassazione opzionale che consente a chi dovrebbe pagare le tasse sugli importi ricevuti come canone, di evitare la tassazione ordinaria Irpef.

La scelta cade completamente sul proprietario dell’immobile che cede in fitto la casa ad un altro soggetto. In primo luogo, il proprietario deve comunicare tramite raccomandata la rinuncia ad ogni eventuale aumento di canone, anche se derivante dagli aggiornamenti periodici Istat. Infatti, la cedolare secca ha validità per tutta la durata del contratto di affitto, anche se la Legge permette al proprietario di revocare la decisione ogni anno.

Va ricordato che l’Irpef dovuto sui redditi percepiti come canone di affitto è fissata per il 2017 al 23% e sale in base a determinati scaglioni di reddito come fissati dall’Agenzia delle Entrate. Con il regime alternativo invece l’aliquota diventa fissa al 10%, ma solo in determinate circostanze. Infatti, l’immobile oggetto del contratto, deve essere situato in un comune ad alta densità abitativa o limitrofi a quelli metropolitani ed in quelli che nei 5 anni precedenti hanno avviato le procedure di emergenza per calamità naturali.

Per tutti gli altri comuni invece, l’aliquota fissa è del 21%. In sede di dichiarazione dei redditi, sul 730 o sul nuovo Modello Redditi PF (ex Modello Unico), va riportato se i redditi da contratto di fitto sono soggetti a tassazione con cedolare secca.

Vantaggi, svantaggi e novità 2017

In parole povere, per il proprietario, la cedolare secca significa una tassazione ridotta rispetto al 23% ( a salire in base alla totalità dei redditi del soggetto), che scende al 21% o addirittura al 10% nei casi prima descritti. Per chi ha redditi elevati tali da sforare gli scaglioni della prima fascia di tassazione Irpef, si tratta di un netto beneficio. Inoltre, si evita di pagare le relative addizionali comunali e regionali all’Irpef e le imposte di registro e bollo, In questo caso, vantaggi anche per il soggetto che paga il canone in quanto la metà delle imposte di registro e bollo sono a suo carico.

Una differenza in peggio è che per la cedolare secca, le aliquote si applicano al 100% dei canoni incassati, mentre per la tassazione ordinaria, solo sul 95%. La cedolare secca va confermata ogni anno da parte del proprietario e il nuovo Decreto Fiscale ne ha cancellato la sopraggiunta revoca in caso di mancata conferma. In altri termini, nel caso in cui il soggetto in questione non ottemperi al dovere di rinnovare la cedolare, se ha pagato regolarmente le tasse specificando il regime alternativo, non tornerà al regime normale per mancata proroga. Gli basterà pagare la multa di € 100 (ridotta a 50% per pagamento nei 30 giorni) per vedersi confermato il regime “agevolato” anche per l’anno successivo.