Su una cosa tutti gli esperti sono d'accordo. Nel prossimo futuro la flat tax sarà il regime tributario naturale della maggioranza delle Partite Iva italiane, indipendentemente che si tratti di lavoratori autonomi, liberi professionisti o commercianti e piccoli imprenditori. Il motivo è lapalissiano. Con la tassa piatta si ottengono importanti vantaggi fiscali, soprattutto in termini di risparmio, anche solo facendo il raffronto con l'Irpef. Come mette in evidenza il quotidiano "Il Corriere della Sera" il risparmio in questo caso può arrivare anche al 50%.
D'altra parte, questi vantaggi sono controbilanciati da alcuni aspetti meno positivi che, indirettamente, derivano dall'intelaiatura delle norme di riferimento.
Cosa prevede la flat tax
Come sappiamo, l'aspetto principale di questo nuovo regime di vantaggio è dato dal fatto di poter pagare all'Erario un'aliquota del 15% sostitutiva di ogni altra imposizione che si tratti di Irpef, addizionali o Irap. Per poter usufruire di questa tassazione di vantaggio è necessario avere realizzato, già a partire dal 2018, non più di 65.000 euro di ricavi. Chi passa a questo nuovo regime fiscale, poi, non è più soggetto agli studi di settore (che peraltro sono stati aboliti), non è obbligato a produrre documentazione probatoria delle spese effettuate né, infine, è tenuto all'obbligo di emissione della fattura elettronica.
Come sappiamo, poi, dal 2020 la flat tax verrà estesa anche alle imprese, lavoratori autonomi e professionisti che realizzano fino a 100.000 euro di ricavi ma senza forfettizzazione delle spese.
I difetti della flat tax
Ma se dal punto di vista del singolo lavoratore autonomo la flat tax presenta degli indubbi vantaggi, dal punto di vista del sistema economico in generale vi sono delle criticità evidenti.
Il quotidiano di Via Solferino ha sentito, a questo proposito, il Professor Dario Stevenato, ordinario di diritto tributario all'Università di Trieste.
Il Professor Stevenato evidenzia, innanzitutto, che in base a come è stata pensata la flat tax non incentiva la crescita dimensionale delle aziende, anzi il messaggio che viene trasmesso è esattamente contrario. Cioè si incoraggiano le imprese a rimanere di piccole dimensioni per non dover subire accertamenti o controlli di altro tipo. Inoltre, dato che questo regime fiscale consente di non addebitare l'Iva al cliente finale genera un'indubbia concorrenza sleale sul mercato.
Senza considerare l'aspetto occupazionale. Come è stato evidenziato diverse volte, infatti, la notevole differenza di tassazione tra un lavoratore dipendente e un lavoratore autonomo (anche del 18% a sfavore del lavoratore dipendente) potrebbe spingere molti datori di lavoro a licenziare i dipendenti e riassumerli come lavoratori autonomi dopo che abbiano aperto la Partita Iva. Anche perché se il lavoratore ex dipendente ottiene un risparmio fiscale del 18%, il suo datore di lavoro ne ottiene uno ben superiore. Secondo le stime di Andrea Dili, Presidente di Confprofessioni Lazio, il risparmio per i datori di lavoro sarebbe almeno del 33%. C'è anche un vantaggio previdenziale. Infatti, la flat tax prevede una decontribuzione del 35% a favore di artigiani e commercianti.
Infine una terza criticità della flat tax è stata evidenziata, in particolar modo, dai Commercialisti. La forfettizzazione delle spese, infatti, introduce un ulteriore vantaggio per le cosiddette professioni intellettuali rispetto ad artigiani e commercianti. Gli studi professionali, infatti, hanno spese per macchinari e dipendenti decisamente inferiori a commercianti e artigiani. Per questi ultimi, invece, la misura potrebbe rivelarsi insufficiente per alimentare la crescita dimensionale. Anche se gli stessi professionisti stanno ancora valutando attentamente tutti gli aspetti della questione prima di emettere un giudizio definitivo.