La Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di un aspetto particolare concernente i reati tributari. Ci stiamo riferendo alla commutazione della pena per il reato di evasione fiscale. Nella Sentenza 38467/19 depositata in Cancelleria il 17 settembre 2019, in estrema sintesi il Supremo Collegio ha stabilito che in caso di evasione fiscale la crisi di liquidità in cui potrebbe essersi venuto a trovare l'imprenditore colpevole non costituisce un'attenuante. Di conseguenza, non può darsi luogo alla commutazione della pena detentiva in pena pecuniaria, in quanto il contribuente - debitore risulta essere insolvente.

I fatti che hanno portato al giudizio in Cassazione

La Suprema Corte si è trovata di fronte al caso di un imprenditore romano di 64 anni che, sia in primo grado che in appello era stato condannato per il reato di omesso versamento Iva. Il contribuente romano risultava, infatti, essere il legale rappresentante di una Srl e non aveva provveduto ad effettuare il versamento dell'acconto che, come previsto dalla norma appena richiamata, doveva essere effettuato per l'anno di imposta successivo. Le indagini svolte dalla Guardia di Finanza avevano accertato un mancato versamento per circa 1.344.000 euro. Contro tali decisioni il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione adducendo 5 motivi di ricorso.

Due di questi riguardano la violazione dell'articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e). Il contribuente, infatti, aveva sollevato l'eccezione di incompatibilità della Corte territoriale, eccezione che era stata respinta anche in sede di Corte d'Appello nonostante il contribuente avesse fatto notare che in primo grado si era provveduto alla sostituzione del Giudice.

Inoltre, richiamando il disposto dell'articolo 192 del codice di procedura penale, il contribuente lamentava che i Giudici non avevano tenuto conto che la violazione a lui imputata riguardava il 2006, anno in cui era stato anche introdotto nell'ordinamento giuridico l'articolo 10 ter, precisamente il 4 luglio. Di conseguenza vi sarebbe, a parere del contribuente, un vizio di motivazione di ordine psicologico quanto meno.

Con gli altri motivi di ricorso, anche in base al disposto degli articoli 43 e 45 del codice di procedura penale, relativi alla ricusazione e rimessione del giudice, il contribuente condannato ha eccepito che era stata omessa la motivazione sulla crisi di liquidità come causa di forza maggiore. Inoltre, il contribuente debitore richiamando il disposto dell'articolo 62 bis, relativamente alle attenuanti generiche, lamentava che la suddetta crisi di liquidità e la carenza dell'elemento psicologico non erano state ritenute sufficienti a concedere le attenuanti.

Infine, il contribuente richiamando il disposto dell'articolo 53 della Legge 689/1981, in tema di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, lamentava che la Corte territoriale aveva ignorato il costante orientamento giurisprudenziale in base al quale la sostituzione della pena era perfettamente compatibile con la pena sospesa e con l'indulto.

Inoltre il contribuente eccepiva la prescrizione del reato accertato a gennaio 2008.

I motivi della decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto di dover rigettare il ricorso presentato dal contribuente romano, essenzialmente perché si tratta di censure adeguatamente vagliate e disattese dalla Corte territoriale. In merito all'eccezione di incompetenza, il Supremo Collegio ribadisce quanto sostenuto dalla Corte d'Appello e cioè che questa deve considerarsi presentata tardivamente nel corso dell'istruttoria dibattimentale di fronte al secondo Giudice e non prima che iniziasse il secondo procedimento. Infatti, in base al disposto dell'articolo 491 del codice di procedura penale, l'eccezione di incompetenza deve essere dedotta subito dopo l'accertamento della costituzione delle parti.

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, cioè il fatto che il reato si riferisca al 2006 anno di entrata in vigore dell'articolo 10-ter, la Corte di Cassazione lo trova estremamente suggestivo. Infatti, il Supremo Collegio fa notare che, di fatto, il reato si riferisce all'acconto da versare per il successivo periodo d'imposta, e quindi entro il dicembre 2007. Il reato, quindi, si sarebbe consumato di fatto nel 2007 con l'articolo 10-ter pienamente in vigore.

Per quanto riguarda, invece, la possibilità di considerare la crisi di liquidità come una circostanza attenuante generica, la Corte di Cassazione fa notare come la Corte territoriale ha osservato che non erano invocabili difficoltà finanziare della società dell'imputato, che commerciava in autovetture, tanto più che queste presunte difficoltà non sono state dovutamente rappresentate né nei motivi dell'appello né nel ricorso per Cassazione.

Anche perché le somme incassate a titolo di Iva non spettavano alla società ma all'Erario, Inoltre, la Corte di Cassazione ha condiviso il parere del giudice di primo grado nel negare all'imputato le circostanze attenuanti generiche visto l'elevato importo della somma evasa dallo stesso.

Infine, per quanto riguarda la commutazione della pena detentiva in pena pecuniaria, anche se la Corte di Cassazione riconosce gli argomenti giuridico - legali portati a sostegno dal ricorrente, concorda comunque con l'interpretazione del giudice di primo grado che ha ritenuto il contribuente reo non meritevole della conversione della pena, in quanto lo stesso risultava ancora insolvente. Per tali motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso dell'imprenditore romano.