A giugno di quest'anno, ha fatto molto clamore la notizia ripresa da molti giornali, la sentenza n. 24431/2015 con la quale la Corte di Cassazione ha stabilito che inserire un commento su una bacheca di un social network significa dare al suddetto messaggio una diffusione che potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sicché, laddove questo sia offensivo, deve ritenersi integrata la fattispecie aggravata del reato di diffamazione.

In realtà la corte non fa che ribadire quello che ormai è un principio pacifico: il social network devono rispettare le regole del mondo "reale".Sempre più spesso infatti assistiamo, soprattutto nel mondo dei ragazzi, all'utilizzo di internet e altri mezzi (WhatsApp, Facebook, Twitter) per scambiarsi opinioni ma anche per postare foto o cerare gruppi.

Non sempre tuttavia queste attività sono lecite. Il mondo virtuale che questi mezzi creano, fa a volte non comprendere all'utente come, nella realtà, esso stia si agendo da una tastiera, ma ciò che fa è pur sempre a lui riconducibile sotto un profilo civile e penale. Moltissimi ragazzini davanti alla domanda "è per te un reato insultare in una pizzeria un tuo amico davanti a tutti?", rispondono in maniera affermativa. Alla domanda "è un reato insultare su Facebook un tuo amico?" la risposta il più delle volte è "no" oppure al massimo "dipende, se il mio profilo è accessibile solo agli amici no".

In realtà insultare una persona o diffamarla, implica sicuramente fattispecie di reato che in alcuni casi, hanno anche una aggravante costituita dalla massiccia diffusione delle informazioni ad un numero potenzialmente illimitato di utenti.

Anche se il gruppo fosse chiuso, comunque si incorrerebbe in una serie di reati essendo sufficiente ad esempio per la diffamazione, l'avere più di due persone a cui viene data la notizia diffamatoria.

Proprio per questo sono molti i gruppi che nascono magari per parlare male di un compagno di scuola. E chi mette una faccina sorridente, non fa altro che partecipare al reato in quanto, di fatto, è come se approvasseciò che è stato affermato.

Sono molti i genitori che non si rendono conto di cosa possa comportare una "bravata" in tal senso.Ancora, se posto la foto di un mio conoscente, dovrei prima averne l'autorizzazione. In altro modo rischierei una sicura violazione del trattamento di dati personali. La foto infatti è un dato personale, e il divulgarla senza autorizzazione può portare alla richiesta di risarcimento danni per violazione della privacy.A volte non ci pensiamo, ma una foto postata può creare anche dei problemi alla persona fotografata.

Basti pensare a una persona che, per motivi vari, non vuol far sapere di essere in un determinato luogo. Proprio per questo la normativa sulla privacy impone, ad esempio, di non rendere riconoscibili i soggetti inquadrati da web cam con scopi turistici.

E' quindi necessario che le scuole e anche i genitori, si adoperino al fine di educare i cittadini digitali. Il Cyber bullismo, è un fenomeno purtroppo diffuso, ma ancora poco esplorato. A volte il parlare chiaramente ai ragazzi, esponendo le conseguenze anche penali che un loro comportamento può portare, diviene necessario, oltre chiaramente a una spiegazione "etica" del perché non vanno compiuti atti di Cyber bullismo.

Non va poi sottovalutato, come comunque gli stessi adulti ricadano tal volta nei reati senza essere consapevoli delle conseguenze.La rete è un mezzo straordinario, ma le sue regole vanno spiegate e comprese per poterlo utilizzare la meglio.