Tra le applicazioni per mobile, il successo planetario di Whatsapp nel corso degli ultimi anni è inarrestabile; non esattamente un social network, quanto in realtà un software di chat e messaggi che ha alleggerito e reso più immediata la comunicazione tra le persone. Il segreto del successo di Whatsapp è sempre stato in questa specificità all'interno dell'orizzonte dei social e delle app che popolano l'universo dei nuovi media e del web, ma un recente aggiornamento ha avvicinato Whatsapp ad altre app più propriamente “social” quali Snapchat, Facebook o Twitter.

Molti utenti hanno espresso le loro perplessità su questo nuovo assetto, soprattutto perché hanno recepito uno snaturamento della semplicità e dell'immediatezza di Whatsapp.

Quest'ultimo ha offerto agli utenti di pubblicare uno "stato temporaneo" per trasmettere ai propri contatti informazioni relative alla propria condizione, video o foto che testimoniano e raccontano le proprie vicende. Dopo 24 ore, lo stato scompare automaticamente; ma cosa inquietante è che, a differenza per esempio di Facebook, Whatsapp comunica all'utente quali contatti hanno visualizzato il proprio stato. Non solo: a causa di una perversa funzione di scorrimento automatica, senza volerlo l'utente in pochi secondo si trova a visualizzare stati che non intendeva guardare.

Le ragioni teoriche del successo di Facebook

Il trionfo epocale di Facebook si basava soprattutto su due principi che sono due facce della stessa medaglia: l'anonimato e il narcisismo. I post di Facebook intendono mettere in vetrina la propria vita, gettando un amo nel mare dei propri contatti e non solo: si tratta di una pratica di forte narcisismo, perché l' “altro” (l'altro contatto, l' “amico”) è in funzione di me, ed esiste per legittimare la mia esistenza.

Quando scrivo e posto su Facebook io dico sempre “guardami, mi rivolgo a te”, magari a qualcuno di specifico che ha avuto o ha un ruolo importante nella mia vita; non è un caso che la diffusione mastodontica del fenomeno di Facebook abbia avuto come principio la voglia paranoica di “sapere che fine abbia fatto quella persona”, per confrontare le sue condizioni con le mie, per avere o no buone ragioni di ritenermi soddisfatto della mia vita o per dimostrare a me stesso di aver fallito.

Qui gioca un ruolo essenziale l'anonimato, ovvero che la visualizzazione dei post possa restare segreta, perché rompere lo schermo magico avrebbe compromesso totalmente la mia pratica narcisistica.

Whatsapp supera Facebook

Dal momento che Whatsapp ha deciso di dedicarsi alle narrazioni attraverso la funzione “status”, da un lato ha perso la sua specificità (dal momento che Whatsapp, non essendo un social, ha una dimensione decisamente privatistica, e funziona su un piano pragmatico di comunicazione diretta), ma dall'altro probabilmente lo staff dell'app ha intuito diverse nuove potenzialità:

  • Molti utenti di Whatsapp hanno rifiutato di immergersi in Facebook, proprio per ragioni di privacy, e dal momento che attraverso Facebook ormai siamo abituati a decidere deliberatamente di ristabilire un contatto col proprio passato (cosa che prima accadeva in maniera spontanea e casuale sotto forma di “destino”), Whatsapp ha deciso di soddisfare tale perversione diffusa;
  • Però Whatsapp doveva dare qualcosa di più: dopo la totale astrazione del rapporto digitale garantito dai social e basata sull'anonimato, ha voluto giocare in anticipo offrendo il pretesto per rendere il rapporto più reale e “umano”: all'anonimato ha risposto con l'involontaria rottura dello specchio di protezione;
  • Da strumento di comunicazione privatistica, Whatsapp in un attimo ha superato la dimensione social, sfruttandone i limiti: pur continuando a essere ciò che è sempre stato, ha cinicamente mostrato il re nudo a ciascuno di noi.