Lui assolto "perché il fatto non sussiste", mentre lei ora dovrà rispondere di calunnia. Si è concluso così, almeno per il momento, il processo per violenza sessuale a carico di un operatore della croce rossa, querelato da una collega.

Le indagini e il processo

I fatti risalgono al 2011, quando la giovane donna, assunta come autista-barelliere con un contratto interinale, querela per violenza sessuale un suo superiore. A condurre le indagini è il pm Marco Sanini, della Procura di Torino. Il magistrato ricostruisce il profilo psicologico della parte lesa.

Emerge il quadro di un'infanzia segnata dagli abusi da parte del padre. Violenze che si sarebbero protratte per sette anni, da quando era solo una bambina di cinque.

Assunta in Croce Rossa tramite un'agenzia di lavoro interinale, sarebbe diventata vittima delle attenzioni di un superiore, che l'avrebbe costretta a rapporti sessuali su barelle e lettini dei pronto soccorso di varie strutture ospedaliere cittadine, in cambio della promessa di una stabilità lavorativa e della cortesia di evitarle turni in luoghi poco gradevoli, come il Cie. L'uomo ha sempre respinto le accuse di aver abusato e minacciato la donna, senza però negare palpeggiamenti ed effusioni, sostenendo che la collega era consenziente.

Davanti ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Torino si apre il processo. La ragazza, di fronte alle domande della Corte, appare quasi reticente. Fornisce una testimonianza sofferta, confusa, povera di dettagli, spesso interrotta da crisi di pianto. Ampia lucidità emerge solo quando, decisa, risponde alla domanda su perché avesse reagito in modo tanto blando agli abusi, evitando grida e richieste di aiuto: "Con le persone troppo forti io mi blocco.

E poi lui era freddo, duro, crudo, proprio come mio padre". "L'ho soltanto palpeggiata, lei era consenziente. Infatti non si è ribellata, non ha gridato, non ha chiesto aiuto. Soltanto un basta, ogni tanto", ha raccontato l'imputato.

Una sentenza che fa discutere

Al termine del dibattimento la pubblica accusa chiede per l'imputato la condanna a 10 anni di reclusione: "Ha approfittato della fragilità della vittima e del suo ruolo di indubbia supremazia nella Croce Rossa".

La sentenza è una doccia fredda sia per il pm, sia per la parte lesa: assolto perché il fatto non sussiste. Spiega il giudice Diamante Minucci nelle motivazioni: "La violazione della sua persona avrebbe dovuto suscitare nella donna una diversa emotività". "La vittima non grida - scrive il giudice - non urla quando l'uomo cerca di spogliarla. Non piange e pare abbia continuato il turno di lavoro anche dopo gli abusi. Non solo: la donna non riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo". "La vittima - precisa ancora il giudice - racconta di aver provato disgusto quando veniva abusata su quelle barelle, ma non sa spiegare in cosa consisteva questo malessere".

Anche il fatto di non essersi sfogata con nessuno di quanto stava vivendo compone il quadro che induce i giudici a sentenziare che "la giovane donna avrebbe reso un racconto inverosimile". E ora, mentre il giudice rinvia gli atti alla Procura per verificare, a carico della donna, l'ipotesi di calunnia, il pm Sanini sta valutando il ricorso in appello: "Ha tenuto a lungo il silenzio su questa dolorosa vicenda, ma questo non significa che non sia attendibile nel raccontare cosa le è stato fatto".