Il Sudafrica non è l'Africa che solitamente ci si immagina. Atterrando all'aeroporto di Johannesburg è facile rimanere sorpresi. Nessuna intensità di odori o di colori se non allontanandosi dalla città.

Le sensazioni affiorano lentamente quando gli spazi si aprono e diventano forti tra le bestie della savana - anch'essa diversa dall'immaginato perché fitta di vegetazione e pur sempre circoscritta a parco naturale o riserva. Albe e tramonti, sole, vento e piogge danno il senso di ciò che è stato ancor più di ciò che è.

Il limite tra viaggiatore e turista è impercettibile. Nelle jeep che avvicinano i leoni fino a pochi metri, anziane signore in stile di altri tempi indossano profumi più forti degli odori degli animali. La vera fortuna è incrociare lo sguardo di un rinoceronte o di un ghepardo mentre ti annusa e ti teme, come tu lo temi e provi ad annusarlo.

Forti sono le sensazioni nelle township-baraccopoli dove l'apartheid è presente e non passato e nello sconfinamento in Zimbabwe, dove i sorrisi si smarriscono nel bisogno dei dollari che l'uomo bianco reca con sé, e i gesti di benvenuto si intrecciano con gli sguardi più duri e le speranze più vivide scemano in disillusione. Così che è difficile percorrere la via di mezzo tra ricchezza e povertà, la via di mezzo che non è altro che la natura di ciascun individuo, persa o ritrovata.

Tira su forte col naso: l'Africa è quest'odore che ti resta dentro, è uno sguardo che si perde nello spazio e nel tempo.