Il Babau non muore, ma si riproduce ed assume sembianze diverse in base alle epoche. Gli americani hanno creato tanti Babau, ma visto che nella tradizione folcloristica questo mostro non ha sembianze ben definite, la Casa Bianca ha provato a fornire una serie di identikit. Nel dopoguerra era facile evocarli: in un mondo sul quale pesavano ancora le conseguenze materiali e morali della seconda guerra mondiale, c'era la paura tangibie che quel mostro potesse presentarsi da un momento all'altro, anche se non aveva i baffetti di Adolf Hitler. I Babau di quel periodo avevano un tratto distintivo in falce e martello, potevano avere i baffi di Stalin o gli occhi a mandorla di Mao.

Poi, successivamente, hanno assunto il volto severo di Krusciov, la folta barba di Fidel Castro, il viso scavato ed il pizzetto di Ho Chi Minh. In tempi moderni i Babau hanno perso la connotazione politica e si sono materializzati in Nord Africa e, soprattutto, in Medio Oriente: da Gheddafi a Bin Laden, passando per Saddam Hussein e Khomeyni. Nella maggior parte dei casi non è stato possibile scacciarli, in altri sono stati definitivamente esorcizzati. Alcuni, per un periodo, hanno pure camminato al fianco di Washington, alleati perché in quel momento c'era da combattere un Babau più spaventoso. In questo preciso momento storico il Babau ha nuovamente gli occhi a mandorla, il viso rotondo e le guance carnose, oltre ad un discutibilissimo taglio di capelli.

Il Babau di Pyongyang

Kim il cattivo, il dittatore spietato, l'uomo che fa sbranare dai cani i nemici politici e che ordina esecuzioni sommarie di civili innoccenti solo perché avrebbero sbadigliato dinanzi alle sue oceaniche arringhe. Il giovane leader che fa credere al suo popolo che la Corea del Nord sia andata in finale ai Mondiali di calcio o pensa che Rambo sia un personaggio reale.

In realtà molte di queste storie sono leggende metropolitane, su alcune non ci sono prove, altre sono state sbugiardate. Di certo è un dittatore 'vecchio stampo' che pratica un culto smodato della personalità e pretende di essere idolatrato, ama le sontuose parate militari ed ha impiegato ingenti risorse economiche in una dispendiosa corsa agli armamenti.

In questo non differisce da altri dittatori che hanno trascorso la loro vita a difendere una 'Fortezza Bastiani' che, esattamente come quella creata da Dino Buzzati, non è mai stata attaccata. La 'Bastiani' di Kim Jong-un, invece, potrebbe essere vicina al rischio di subire un'azione militare statunitense e per molti improvvisati opinionisti, quelli di intelletto limitato e smartphone veloce, merita una 'punizione'. La sua colpa in realtà è quella di aver sviluppato una tecnologia bellica nucleare e, in aggiunta, di provocare Stati Uniti ed alleati facendo sfrecciare i suoi missili sul Mare del Giappone. Sorge spontanea una domanda: perché ancora oggi, nel XXI secolo, debbano essere i dettami di Washington a disciplinare il possesso delle armi nucleari nel mondo.

La risposta è fin troppo semplice: non potendo impedirne il possesso massiccio a potenze tradizionalmente rivali come Russia e Cina, gli Stati Uniti si sono sempre preoccupati di fermarne l'eventuale progettazione in Paesi 'minori' che si oppongono all'influenza della Casa Bianca. L'America tutela i suoi interessi, ma anche la Corea del Nord sta tutelando i propri.

Questione di sopravvivenza

In Occidente ci si sforza di dipingere Kim Jong-un come un pazzo, molta gente sostiene che farà scoppiare la terza guerra mondiale. In realtà l'eventualità di un conflitto globale attorno alla penisola coreana era molto più concreta negli anni '50, quando effettivamente gli Stati Uniti intervennero militarmente per impedire l'invasione della Corea del Sud da parte delle forze 'rosse' di Kim Il-sung.

Nella circostanza URSS e Cina supportarono Pyongyang con l'invio di truppe e, a conti fatti, tra il folto contingente NATO e gli alleati della Corea del Nord, operarono nella penisola oltre 2 milioni di soldati stranieri. L'odierno Kim non ha le fortune del nonno, la Corea del Nord è uno Stato 'eremita' che mantiene cordiali rapporti diplomatici con la Russia, ma sembra aver rotto con la Cina. Russi e cinesi non daranno mai il proprio nulla osta ad un'azione militare, in primo luogo perché la Corea è troppo vicina ai rispettivi confini, in seconda, ma non meno fondamentale battuta, c'è l'importanza strategica dello Stato eremita, la cui presenza è un ottimo deterrente verso quella che potrebbe essere una totale egemonia politica statunitense nell'area.

Da parte sua, Kim Jong-un è consapevole della sua favorevole condizione geografica che, negli anni, ha salvato la Corea del Nord dal George W. Bush di turno che sarebbe stato ben felice di concludere un lavoro iniziato, come nel caso della pretestuosa, quanto inutile e dannosa guerra in Iraq del 2003. Le armi nucleari sono invece lo spauracchio con il quale tiene l'America sulle spine, una "questione di sopravvivenza" come lo stesso dittatore ha più volte ripetuto. Perché se è vero che la posizione geografica del Paese impedisce azioni sconsiderate, è altrettanto vero che, nel caso di una guerra, stavolta i nordcoreani non avrebbero supporto militare da altri Paesi.

Kim si è spinto troppo oltre

Esercitare uno spasmodico culto della personalità spinge ad azioni sconsiderate e Kim Jong-un si è spinto troppo oltre. Dall'inizio dell'anno ad oggi, il regime ha moltiplicato il numero dei minacciosi test missilistici, nella sua estrema voglia di dimostrare al nemico quanto temibile sia oggi il suo potenziale bellico. Gli Stati Uniti, reduci da una rovinosa sconfitta politica in Siria tra gli ultimi mesi dell'amministrazione Obama ed i primi a guida Trump, non possono permettersi uno smacco anche in estremo oriente. Ma, per tutte le questioni di cui sopra, è difficile decidere a cuor leggero un'azione militare con conseguenze imprevedibili. Pyongyang non è ancora in grado di attaccare gli States, nonostante gli evidenti progressi bellici, ma può scatenare la sua guerra contro la vicina Corea del Sud.

Ad ogni modo l'inasprimento ulteriore delle sanzioni ONU è la goccia che inizia a scuotere il vaso, con il rischio di farlo traboccare. Un altro test nordcoreano potrebbe determinare la reazione militare americana. La Cina ne è consapevole ed ha lanciato un appello all'ex alleato, quello di cessare del tutto i lanci. Nel contempo Pechino ha chiesto a Washington, per l'ennesima volta, di allentare la pressione militare sulla penisola coreana e concedere, dunque, una soddisfazione a Kim che potrebbe bastare per ripristinare lo stato di calma apparente.

Chi è il vero Babau?

L'atroce dubbio è che l'America abbia già deciso la sua strategia bellica e che il regime di Pyongyang, consapevole di essersi spinto oltre i limiti consentiti, non sia oggi in grado di tornare indietro perché si dimostrerebbe debole agli occhi di eventuali oppositori.

Teoricamente non esistono, ma i nemici interni li hanno tutti i dittatori. Kim Jong-un li aveva addirittura in famiglia, visto che lo zio Jang Song-thaek fatto giustiziare nel dicembre del 2013 era notoriamente filo-cinese e non è un segreto che Pechino avrebbe voluto 'spingerlo' al governo al posto del nipote. Oggi la Cina spinge invece per un accordo che possa lasciare soddisfatti tanto gli Stati Uniti quanto la Corea del Nord, ma potrebbe essere già tardi. Anche perché dinanzi al generale H.R. McMaster, consigliere per la sicurezza nazionale USA, che cita spaventose conseguenze per tutta la regione in termini di vite umane, in caso di guerra, ma antepone gli interessi politici di Washington spacciandoli come legittima difesa, non siamo più tanto sicuri che Kim sia l'unico Babau di questa storia.