"E fu sera e fu mattina" dell'autrice Daniela Rindi (Intermezzi Editore) è il pretesto narrativo per una riflessione sul dolore, sullo smarrimento dovuto alla perdita, sulla potenza orrorifica della morte che stravolge i nostri destini con una violenza che lascia basiti, sul senso di impotenza che ciascuno di noi è destinato a provare ad un certo punto della sua vita, amplificato dall'intensità quasi patologica dei legami, che purtroppo non garantisce un futuro ai nostri figli.



La trama - In questa breve ma intensa storia la piccola Irene vivrà un'esperienza drammatica e surreale al tempo stesso.

Uno dei peggiori incubi di una bambina è destinato a diventare realtà, toccando il cuore del lettore in modo sorprendente, per lo sviluppo inatteso di una vicenda minimalista. "E fu sera e fu mattina" ben fotografa la solitudine postmoderna dell'uomo contemporaneo, privo di punti di riferimento, al punto da inseguire improbabili vie di fuga che spesso si rivelano velleitarie, cercando costantemente di comunicare con persone lontane perché incapace di dialogare col vicino di casa, visto come "diverso" a prescindere, nell'ambito di quartieri-ghetto dove c'è tutto quel che serve per soddisfare le esigenze materiali, a patto di avere un bel conto in banca, ma resta molto poco per nutrire lo spirito: non è un problema da poco.



Il condominio dove abitano Marta e la figlioletta Irene, morbosamente legate anche per l'ennesimo fallimento sentimentale di questi tempi, è appunto una sintesi della crisi di socializzazione di un'epoca di deflazione non solo economica. La crisi e il disorientamento degli indifesi è ben rappresentato dalla bimba in questione, che sostituisce il suo bisogno d'amore, esasperato dall'assenza della figura paterna, con la classica fuga nei mondi paralleli dei cartoni animati e con richieste d'acquisto compulsive, come se riempire il carrello di "ovetti", "fruttoli" e altri prodotti ben reclamizzati fosse garanzia di poter essere un giorno felici, come se bastasse il "mitra ad acqua" tanto desiderato da Irene in apertura per difendersi dalle mille insidie del vivere.



Riflessioni sull'opera - In un mondo reale dove perfino l'acqua è avvelenata e l'universo dei sentimenti è in evidente disfacimento non poteva mancare in questa storia un climax, che trasforma definitivamente la vita di Irene in un incubo. "Cosa hai cercato di dirci con questo libro?" ho chiesto a Daniela Rindi. "Racconto un malessere grave umano e sociale.

La madre abbandonata a se stessa si imprigiona da sola nelle sue idiosincrasie e frustrazioni. Muore lei è passa il testimone alla figlia, che vivrà il resto della sua vita come il peggiore incubo..." ha spiegato l'autrice, mettendoci in guardia dai rischi dell'isolamento eccessivo, che spesso è solo il sintomo di una malattia mentale più o meno latente. Oggi, del resto, chi può dirsi davvero sano e al riparo dal male di vivere?