Durante le settimane di incontri tra Governo e sindacati che cercavano un accordo su come riformare il sistema previdenziale, tra le tre grandi sigle sindacali invitate, la CGIL è sempre stata la più rigida. Il sindacato della Camusso infatti non si è mai detto soddisfatto delle proposte che il Governo metteva sul tavolo. Ieri, 7 novembre, la Camusso è tornata a ribadire i suoi concetti ed a criticare apertamente quello che ormai a tutti gli effetti è l’insieme delle misure che dal prossimo anno entreranno nel sistema.

Luci ed ombre

La Legge di Bilancio è alla Camera e la si sta discutendo anche alla luce degli emendamenti che sono arrivati a correzione di ogni singolo punto della manovra.

Le parole del Ministro Poletti e di Nannicini però lasciano poco spazio alle illusioni dei lavoratori che si aspettavano un aiuto in sede normativa per le problematiche previdenziali con cui fanno i conti dal 2012, anno di avvento della rigida ed odiata riforma Fornero. Per precoci e la quota 41 concessa solo a soggetti in stato di necessità, nulla potrà cambiare. Nannicini presentando delle tabelle illustrative sull’APE, ha ribadito che quanto fatto dal Governo era l’unica cosa possibile viste le esiguità delle risorse disponibili. Pertanto, l’uscita a 41 anni di contributi sarà concessa solo a disoccupati che da almeno 3 mesi hanno terminato di percepire gli ammortizzatori loro concessi per la perdita di lavoro.

Quota 41 anche per disabili, per chi ha parenti disabili a carico e per chi svolge una tra le 11 nuove attività considerate pesanti, dalle maestre di asilo fino ai facchini. Naturalmente sempre se dei 41 anni di contributi accumulati, almeno uno sia stato racimolato prima di compiere i 19 anni di età. Aver introdotto quota 41 è positivo per la Camusso, perché quantomeno ribadisce il concetto che 41 anni di lavoro possono bastare.

La distanza da quello che la CGIL ma anche le altre sigle, comitati e gruppi di lavoratori) chiedeva però è ancora tanta con i rigidi paletti inseriti che rendono poco fruibile la misura e la fanno sembrare misura assistenziale più che previdenziale, dando più importanza al disagio dei beneficiari che alla loro storia lavorativa.

Come dire: “sei disagiato e ti do una mano”. Ma il disagiato ha 41 anni di lavoro alle spalle, mica pochi!

Un favore alle banche

Giudizio positivo sul cumulo gratuito, sul potenziamento delle quattordicesime e sull’APE social da parte della Camusso. Su quest’ultimo punto però, sull’APE gratuita, la CGIL è contraria al peggioramento dei requisiti contributivi rispetto all’APE volontaria. L’aumento dei contributi necessari per l’APE social a 36 anni (di cui 6 consecutivi) per i lavoratori in attività logoranti ed a 30 per disabili e disoccupati, ne riducono la platea di beneficiari. Un anticipo pensionistico che crea disparità di trattamento anziché ridurle. Al lavoratore che si deve pagare di tasca propria le rate del prestito bastano 20 anni di contributi, mentre per chi deve essere tutelato dal Governo ne servono tra i 30 ed i 36.

Contrari fin dall’inizio anche al meccanismo che fa entrare in gioco le banche e le assicurazioni, quasi a voler trovare clienti a queste istituzioni. La CGIL si impegna a lavorare unitariamente, già nella discussione parlamentare sulla Legge di Bilancio, con le altre sigle per ridurre e detonare questi vincoli troppo rigidi per le novità previdenziali. Riscontro positivo anche sulla fase 2 promessa dal Governo, cioè sul proseguo della riforma previdenziale che dovrebbe toccare altri punti dolenti, primo tra tutti il futuro dei giovani lavoratori e non di oggi e quindi dei pensionati futuri di domani. La proposta della “pensione di garanzia”, sarà sempre un cavallo di battaglia del sindacato.

Bisogna garantire ai giovani una pensione dignitosa, nonostante il lavoro oggi latiti, nonostante la precarietà e le carriere discontinue. Bisogna fissare una pensione minima sotto la quale non si potrà scendere a prescindere da quanto lavorato dai giovani.