La Corte di Cassazione ha, recentemente, ridisegnato il perimetro di applicazione del licenziamento per giusta causa. Con la sentenza 21062 del 11 settembre 2017 ha stabilito, in sintesi, che il dipendente non può essere licenziato, anche nel caso abbia adottato dei comportamenti censurabili da parte del datore di lavoro, se ha lavorato per lungo tempo e con un alto rendimento senza mai aver ricevuto alcun tipo di sanzione disciplinare. Nella sentenza, che ha accolto il ricorso di un operaio, il Supremo Collegio presenta nelle motivazioni delle interessanti considerazioni sull'applicabilita' della giusta causa.

Il caso alla base della sentenza della Corte di Cassazione

La Corte si è trovata di fronte al ricorso di un operaio che, nonostante abbia inviato all'azienda un certificato che motivava l'assenza dal lavoro con la necessità di assistere la figlia di due anni, in seguito quello stesso giorno si recava ad un'assemblea sindacale interna all'impresa.

Il ricorrente, infatti, aveva immediatamente chiamato il medico per far visitare la bambina e, nel frattempo, si era fatto fare il giustificativo che aveva, prontamente, inviato al proprio datore di lavoro. Successivamente, rassicurato sulle condizioni della piccola a seguito dell'esame del medico, era uscito per recarsi alla manifestazione sindacale.

In questo frangente era stato ripreso dalle telecamere di sicurezza della società e, di conseguenza, inviata una contestazione disciplinare a cui aveva fatto seguito il licenziamento vero e proprio.

Impugnato il licenziamento l'operaio si era visto reintegrare dal giudice di primo grado per poi, in sede di Corte d'appello vedere ribaltata la decisione del primo grado.

Di conseguenza, veniva presentato ricorso di legittimità davanti ai Supremi giudici.

L'ambito di applicazione della giusta causa secondo la Corte

Secondo le motivazioni della sentenza, il concetto del licenziamento per giusta causa non può assolutamente prescindere dall'assenza di precedenti contestazioni mosse al lavoratore.

Come anche dell'alto rendimento tenuto dallo stesso lavoratore, ancora meglio se per un periodo particolarmente lungo.

Per il Supremo Collegio il giudice di merito è tenuto a rendere una motivazione proporzionale al fatto concreto sottoposto al suo esame e, nello stesso tempo, libera da vizi giuridici. In pratica, il giudice di merito deve saper discriminare oculatamente tra la necessità di sanzionare l'eventuale gravità delle condotte tenute dal lavoratore e la possibilità di poter proseguire, proficuamente, nel rapporto di lavoro.

A questo proposito, fa notare la Corte, risulta imprescindibile tener conto di vari elementi fra cui: le sanzioni applicate dalla contrattazione collettiva, ma anche l'intensità della volontà di mettere in atto la condotta censurabile.

Vanno valutate anche le mansioni affidate al lavoratore e il grado di affidamento dello stesso. Inoltre, le stesse modalità di svolgimento del rapporto lavorativo devono essere valutate attentamente dal giudice, come pure la sua durata e le eventuali precedenti sanzioni.

La motivazione di un esame così scrupoloso deve essere rintracciata, secondo il Supremo Collegio, nel fatto che il licenziamento per giusta causa ha, come presupposto giuridico e di fatto, il venire meno del rapporto fiduciario tra le parti. E, di conseguenza, comminare la sanzione del licenziamento. Cosa che, nel caso specifico non si è verificata.