Venerdì 13 giugno un ragazzo di 15 anni si è sparato con il fucile da caccia del padre. Francesco frequentava la seconda classe del prestigioso istituto tecnico industriale "Alessandro Rossi" di Vicenza. Il consiglio di classe aveva deliberato poche ore prima la bocciatura per scarso profitto ed era già ripetente. Una seconda sconfitta che ha rimosso tutti i freni del buon senso e ha lasciato dilagare l'ondata di disistima che si è materializzata in poche ore nella decisione di togliersi dal mondo che premia solo i vincenti.

Il dolore si è riversato in migliaia di famiglie e di ragazzi per l'irragionevolezza del gesto e ha avviato l'inevitabile ricerca della risposta alla domanda "dove abbiamo sbagliato?".

I genitori, gli amici, i parenti, i compagni di classe di Francesco concordano nel dire che era un ragazzo solare, tranquillo e non manifestava nessun tipo di disagio particolare. Nessuno ha colto segnali di malessere. Allerta e allarme sono sostantivi fuori luogo in una situazione in cui il ragazzo reprimeva molto bene la propria sofferenza.

La soluzione per evitare questi drammi non può essere trovata in toto nel micro universo di chi vive a contatto con l'adolescente. Scuola e famiglia possono ricondurre i ragazzi sulla strada della razionalità nel momento in cui la loro mente sta percorrendo i sentieri impervi delle emozioni negative, ma nulla possono contro chi invece mostra loro il paese dei balocchi.

Ma perché gli adolescenti si trovano in questa condizione? Dalla notte dei tempi c'è sempre stata una discrasia tra generazioni, mitigata per millenni dal potere dei padri che si ergevano spesso come dittatori. In un contesto in cui non c'era voce per i figli, i suicidi in età giovanile si verificavano spesso per pene d'amore.

La società moderna ha giustamente dato spazio alle richieste di partecipazione degli adolescenti nella decisione del loro futuro e nel giro di pochi decenni la loro voce è passata da un ruolo consultativo a quello decisionale.

Spesso la scelta della scuola è in mano allo studente e i genitori prendono atto della decisione.

A quattordici anni è difficile assumersi certe responsabilità e quando il peso diventa insostenibile sotto forma di voti negativi, è in quel momento che è possibile intervenire. In assoluta trasparenza, scuola e genitori devono concordare con per lo studente che non c'è nulla di vergognoso nell'ammettere di aver optato per una scelta sbagliata. Se lo studente non sembra interessarsi dell'andamento scolastico, è doveroso che una scossa provenga dalla scuola a dare lo shock necessario a risvegliare le famiglie sulla possibilità di un fallimento.

Ma tutto questo è realizzabile con enorme difficoltà, se il ragazzo è condizionato dai messaggi provenienti da TV e social network. Il mondo appartiene a chi è visibile, a chi ha successo, a chi appare.

Poco importa se la stella nascente si rivela una meteora. Non si valuta che se una notorietà è effimera, il ritorno alla vita di tutti i giorni si rivela più insopportabile che per i comuni terrestri.

I pochi messaggi sani che ho visto diffondersi sono isolati. I programmi sullo sport, dove si vede il lavoro svolto, la fatica fisica e psichica sostenute, i rimproveri amaramente digeriti, la tensione emotiva prima della gara, sono lezioni di vita che dovrebbero imprimere nella testa dei ragazzi il concetto che i risultati richiedono impegno costante. È ancora lo sport, nella figura di Roberto Baggio sorprendente autore e lettore di un messaggio ai figli e ai loro coetanei durante l'edizione di Sanremo 2013, a dare un piccolo vademecum su come affrontare la vita.

Riservo un paragrafo al significato della nostra esistenza in questo mondo. Non può esserci nulla che ci deve togliere la consapevolezza che noi siamo su questa terra per far crescere e rendere felici chi ci circonda. Il mondo è apparentemente composto di vite parallele; la realtà è che le interazioni tra gli esseri viventi esistono in modo significativo. Tutti noi possiamo dare del bene a qualcuno. Un nostro sorriso, una parola, un piccolo gesto, un aiuto incondizionato per noi sono poca cosa, ma nessuno potrà mai sapere quanto peso abbia avuto nella vita di altre persone se non chi ha ricevuto la nostra attenzione. Toglierci la vita è un gesto che impedirà ad altri di ricevere il bene più prezioso che tutti abbiamo e che nessuno ci può rifiutare quando glielo offriamo: la solidarietà. È bene che ci ricordiamo tutti che l'energia positiva dell'altruismo non si disperde nell'universo, ma ci torna indietro in mille modi imprevedibili.