A Rimini una studentessa spagnola di 20 anni denuncia di essere stata violentata, forse da due italiani, durante una serata in discoteca. Pochi giorni fa una turista canadese è stata stuprata da un finto autista del taxi a Milano. La cronaca italiana riporta una lunga serie di episodi di aggressioni sessuali avvenute in differenti città. Trame differenti ma medesimo reato: violazione della libertà e del corpo femminile. Questo malgrado ancora oggi ci si concentri sulla nazionalità dell'aggressore, stilando una inutile (e controproducente) lista sul grado di gravità di uno stupro.

Tornando all'ultimo caso di Rimini, una ragazza spagnola la mattina seguente scopre di avere delle lacerazioni vaginali ma non ricorda nulla della sera prima, si rivolge al pronto soccorso e viene sospettata una possibile violenza sessuale. La studentessa che si trova in Italia in Erasmus, ricorda solo di aver bevuto con due ragazzi italiani. Da lì il nulla. Quello che è certo è che se una ragazza è ubriaca e incosciente non può essere consenziente.

La reazione del web è la medesima: lei ha bevuto? Allora se l'è cercata o era sicuro consenziente ma si è pentita. Molta gente comincia a fare i paragoni col caso precedente accaduto a Rimini: "quello era uno stupro più grave perché la vittima è stata picchiata selvaggiamente".

Le reazioni sono medesime a quelle del caso delle americane violentate da due Carabinieri e portano a due conclusioni: da una parte gli stupri compiuti da italiani paiono "meno gravi", dall'altra che tantissimi non considerano alla stregua di uno stupro il fatto che un uomo decida di appartarsi con una ragazza ubriaca, approfittando della sua ridotta capacità di giudizio.

Cosa dice la legge italiana sul reato di violenza sessuale

"Chiunque con violenza e minacce o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali [....] 1) Abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa al momento del fatto [...] (art. 609 bis cod. penale)". Analizzando la legge italiana, è considerato stupro se la vittima era ubriaca al momento del fatto.

Il codice penale italiano che punisce i reati di stupro è dunque fortunatamente avanzato. Non si può dire lo stesso per la mentalità italiana, dove ancora non conta il consenso della vittima ma la gravità delle ferite riportate, la responsabilità della vittima e la nazionalità dell'aggressore.

Leggendo i commenti lasciati sotto gli articoli di questa notizia, emerge anche da parte delle donne l'incapacità di riconoscere come stupro il congiugersi carnalmente con una ragazza ubriaca, a cui si aggiungono gli stereotipi di genere che ritraggono una ragazza che beve alcolici come una di facili costumi, sulla quale sarebbe legittima ogni violenza di carattere sessuale.

Le donne italiane denunciano meno?

La maggior parte delle cronache sugli stupri avvenuti recentemente hanno un comune denominatore: quasi tutte le donne che hanno denunciato di essere state stuprate sono straniere, spesso studentesse o turiste. Raramente cittadine italiane. Colpisce il commento di un signore sotto un articolo che riguardava lo stupro di una finlandese a Roma, riportato su Facebook, affermava: "il nord Europa sembra la capitale degli stupri in confronto all'Italia, forse sono più alte le percentuali perché le italiane denunciano meno".

Sentimenti di vergogna e victim blaming

Un'indagine del 2016 condotta dall'Agenzia Europea dei diritti fondamentali rivela che solo il 14% delle donne ha denunciato abusi di genere alle autorità.

In Italia la percentuale è ancora più bassa: solo il 10% delle donne denuncia una violenza da parte di un uomo. Womanstat.org che si occupa di svolgere indagini a livello mondiale sulla condizione femminile, nel 2011 ha stilato una mappa sul tabù dello stupro, svelando che l'Italia risulta tra i paesi dove le barriere culturali che impediscono le donne a denunciare sono "intensi". I motivi? Vergogna e senso di colpa.

Il numero dei lettori, soprattutto lettrici, che colpevolizzano le presunte vittime per aver fatto di tuttto per non evitare la violenza subito, piuttosto che puntare il dito contro chi stupra, fa emergere un victim-blaming di ragione educativa interiorizzato nella maggior parte delle donne, lo stesso che spinge le stesse a non denunciare quasi mai una violenza a causa dei sensi di colpa e della vergogna inculcati dall'ambiente circostante.

Questo meccanismo scatta quasi sempre, tranne quando l'aggressione è particolarmente brutale come quella avvenuta ad agosto a Rimini o quando la vittima non ha avuto un atteggiamento considerato incauto o spregiudicato, come nel caso della dottoressa nel catanese aggredita mentre svolgeva servizio.

È assolutamente assurdo che ancora oggi pochi uomini siano educati al rispetto del corpo femminile e della nostra libertà tali da condannare moralmente uno stupratore indipendentemente da come si comporta la vittima, ma è ancora peggio che ad una donna o una ragazza non venga quasi mai insegnato come riconoscere una violenza, di essere consapevole dei suoi diritti e di denunciare alle autorità.