Non sembra una rivoluzione. Annunciata dal presidente del Consiglio Renzi nella conferenza stampa, e illustrata con due cartelline di spiegazioni, l'attesa riforma della Rai consisterà in un disegno di legge che l'Esecutivo manda al Parlamento, e che non sembra così rivoluzionario come negli annunci di un mese fa.

A febbraio ci fu addirittura chi pensò che il governo fosse pronto a varare un decreto (ipotesi presto smentita da Palazzo Chigi); molti erano inoltre sicuri che la volontà di Renzi fosse individuare un modello con un Amministratore Delegato forte, magari nominato direttamente dall'Esecutivo, con poteri maggiori rispetto a quelli dell'attuale direttore generale.

Si fecero addirittura dei nomi.

La proposta uscita ieri dal consiglio dei Ministri è molto meno rivoluzionaria: il disegno di legge prevede un cda di 7 membri (oggi sono 9), dei quali 4 nominati dal Parlamento (due dalla Camera e due dal Senato), 2 dal ministero dell'Economia e uno designato dalla assemblea dei dipendenti della Rai.

"La Rai non è una municipalizzata di provincia", dice il comunicato con cui il governo spiega lo spirito della riforma. E dunque serve una "guida chiara, riconosciuta, trasparente, efficiente", ovvero un "capo, un responsabile che possa decidere".

Ma il provvedimento - almeno a giudizio di Maurizio Gasparri, che ha ironizzato parlando di "passo del gambero" - non va esattamente nella direzione del modello BBC.

Come è noto infatti nel caso dell'azienda radiotelevisiva britannica c'è una separazione netta tra il governo dell'azienda - un "Trust" di personalità eminenti, di nomina governativa - e l'organo esecutivo, un direttore generale, ovvero il "responsabile che possa decidere", che è nominato dal BBC Trust insieme al "comitato esecutivo" e che ha ampia autonomia.

Nel caso italiano la nomina del cda - l'organismo che dovrebbe essere analogo al Trust della BBC - rimane ben saldo nelle mani del Parlamento e del Governo, come è oggi. Unica eccezione - salutata molto positivamente dalla Cisl e descritta da Renzi come un "fatto senza precedenti" - la presenza nel cda di un rappresentante dei dipendenti della Rai.

Renzi ha detto nella conferenza stampa che la riforma vuole far "uscire i partiti dalla Rai". La differenza rispetto al modello attuale è che l'Amministratore Delegato, scelto dal consiglio di amministrazione, ha una autonomia maggiore dell'attuale direttore generale: non deve consultarsi con il consiglio di amministrazione per spese entro i 10 milioni di euro, e risponde della gestione dell'azienda, della programmazione, dei contratti, degli investimenti.

Resta in piedi con i poteri di "vigilanza" la omonima commissione parlamentare, alla quale il cda riferisce "annualmente"

Infine, sui tempi: il premier ha smentito qualsiasi intervento d'autorità del governo sulla materia: dunque nessun decreto.

Ha solo detto che se il Parlamento non farà in fretta si assumerà la responsabilità di lasciare la Rai "ai bilancini delle correnti dei partiti".

Il testo del disegno di legge non è ancora disponibile sul sito del Governo; certamente per ora non è neppure arrivato alle Camere. Probabilmente nel disegno di legge ci sarà anche qualche delega all'esecutivo su altri temi delicati, come il canone.