Nel dibattito attuale nel cuore dell’Europa tra l’improcrastinabilità di misure di rigore a sostegno dei conti pubblici e la necessità di misure per favorire la crescita spicca l’opinione della Cancelliera tedesca Merkel, la quale sostiene che rigore e crescita sono due facce della stessa medaglia.  Nulla di più falso! 

La storia dell’economia mondiale è caratterizzata da fasi rivoluzionarie, decisive per il raggiungimento del benessere attuale, che stridono con tale teoria. (David S. Landes ,La ricchezze e la povertà delle nazioni, Garzanti, 2000).

Partiamo dalle grandi scoperte. Sul finire del XV secolo vennero raggiunte rotte commerciali che avrebbero rappresentato la svolta per il commercio. Hanno inizio il colonialismo e  la conquista di nuovi mercati, soprattutto quelli delle spezie e del cotone. Per raggiungere l’America nell’estremo occidente e l’India nell’estremo oriente furono necessari grossi investimenti, con la costruzione di grandi navi, enormi spese militari (come sarebbe stato possibile conquistare nuovi mercati senza l’uso dei cannoni?), ingenti anticipi di spese, costituzione di grosse compagnie (si pensi alle Compagnie delle Indie orientali inglese e olandese).

Ma passiamo all’evento più rivoluzionario per l’attuale sistema economico: la Rivoluzione industriale.

I primi produttori dell’epoca si resero conto che un sistema di meccanizzazione della produzione, che avrebbe significato una produzione di massa, avrebbe reso necessario l’aumento dei salari dei lavoratori, affinché i prodotti delle industrie trovassero dei consumatori muniti di sufficiente denaro per poterli acquistare.  Alla faccia del risparmio!

Nel secolo scorso troviamo la figura di Henry Ford, che nel 1904 introdusse la giornata lavorativa di 8 ore a 5 dollari (David Harvey, La crisi della modernità, il Saggiatore, edizione 2010). I lavoratori avrebbero avuto in questo modo più tempo e più denaro per dedicarsi ai consumi. Quella fu una sorta di II Rivoluzione industriale, grazie alla quale si passò ai consumi di massa e a  quel sistema di produzione in serie che oggi definiamo Fordista.

E’ in quel momento che nasce un uomo nuovo, dedito al consumo. E di conseguenza una produzione nuova. Grazie al sistema fordista si ha  boom dei consumi che sta alla base dello sviluppo raggiunto oggi da tutti i paesi occidentali.  Consumo e spese quindi, da parte di tutto gli attori del sistema economico. Altro che risparmio.

Con il  New deal (1933), grazie ad un programma di spese e all’introduzione dei primi rudimenti dello Stato sociale, l’allora presidente americano Franklyn Delano Roosvelt permise agli Stati Uniti e all’Occidente intero di uscire fuori dalla una delle crisi recessive più gravi della storia (Nouriel Roubini e Stephen Mihm, La crisi non è finita, La Feltrinelli, 2010). Furono poi poste le basi per importanti strumenti di politica di sostegno finanziario, con la creazione della FIDC (assicurazione federale sui depositi).

Immaginate cosa sarebbe successo se si fosse deciso di abbracciare le politiche di austerity.

Infine pensiamo ai piani di spesa USA per la recessione americana (800 mld circa), grazie ai quali almeno gli americano sono usciti dal tunnel della decrescita. Programma di spese accompagnato da un’efficace politica monetaria espansiva da parte della Federal reserve americana, capace di irrorare nel sistema liquidità per 2.300 mld di dollare in 3 anni.

Le principali svolte per l’economia mondiale sono dunque avvenute grazie a programmi di spesa e di consumi che sono in antitesi con la nuova dottrina economica Merkeliana. La cancelliera tedesca prima di improvvisarsi economista sostenendo che l’austerity è fondamentale per lo sviluppo e per la crescita farebbe forse bene a spiegarci qual è la corrente economica a sostegno della sua tesi e da quali eventi storico-economici essa è suffragata.