Abbiamo intervistato la Sig.ra Marisa Grasso, moglie dell'Ispettore Capo della Polizia di Stato, Filippo Raciti, ucciso il 2 febbraio 2007 mentre era in servizio insieme ai colleghi della Polizia di Stato, intervenuti contro gli ultras catanesi per fermare gli scontri durante i disordini alla fine del derby siciliano di calcio Catania - Palermo. Il tema dell'intervista è "La pericolosità degli stadi di calcio".

Sig.ra Raciti, quanta pericolosità c'è ancora oggi negli stadi di calcio?

La pericolosità è tanta, a distanza di 8 anni dalla morte di mio marito, non ho visto diminuire la violenza negli stadi e questi messaggi carichi di odio, non passano inosservati in qualunque città d'Italia.





Durante la conferenza che ha tenuto un po' di giorni fa, all'università "La Sapienza" di Roma ha affermato: "il mio trauma non deriva dai colpi di pistola ma dalle grida dei giovani"…

Io ho condiviso con mio marito 17 anni di matrimonio, e durante quegli anni, è capitato che mio marito rientrava ferito dopo aver svolto un servizio pubblico, fino a quando il 2 febbraio non ha fatto più rientro a casa.

Quando lo vedevo rientrare ferito, ricordo che gli domandavo sempre chi fosse così crudele da fare un atto di violenza di quel genere e mio marito mi rispondeva sempre "sono stati i giovani". Quando poi iniziò il processo e venni a conoscenza dell'età di chi tolse la vita a mio marito (un giovane di 17 anni), mi sono resa conto che avevo paura a guardare i giovani perché quella fascia di categoria giovanile è riuscita a distruggere una bella famiglia.

Vedere nello schermo come hanno ridotto mio marito è stato uno strazio.

Mi sono accorta di avere un grande trauma ed è proprio ai giovani che mi rivolgo affinchè le cose cambino e mi aiutino a superare questo trauma perchè i giovani sono il simbolo della speranza, anche se sono diventata vedova precocemente e non faccio altro che pensare a come ci sono diventata.



Spero che i giovani diano risposte forti di una sana società e non una società fatta di violenza.

Secondo lei, negli stadi dovrebbero esserci maggiori controlli e forze dell'ordine?

Le morti dei tifosi purtroppo avvenivano anche prima della morte di mio marito e sono proseguite anche dopo. Ho visto aumentare il numero dei poliziotti, sono state emanate nuove leggi dopo la morte di mio marito, molto più severe e più attente, ma il problema è culturale.

Se non cambia la cultura e non c'è il rispetto per la vita, non credo che le cose possano cambiare.



Cosa si potrebbe fare per far sì che queste violenze non accadano più durante partite di calcio, che dovrebbero essere considerate un momento di sport e di condivisione calcistica?

La prevenzione è essenziale per poter fermare la mano violenta, ognuno di noi può dare il suo contributo sia a scuola che in famiglia e nella società in genere, dando messaggi positivi, cercando di trasmetterli e di cambiare questa cultura in cui regna la mancanza di rispetto accompagnata da un linguaggio violento. Credo che sia facile cambiare le cose, l'importante è crederci e dare il buon esempio.



Dove trova la forza per parlare ai giovani, a distanza di 8 anni dall'accaduto, in maniera lucida e determinata?



Credo molto nella vita in quanto è un dono che ci è stato consegnato dallo Spirito Santo. Questa forza, nasce dentro di me perché è la forza di chi ama la vita e allo stesso tempo amo Dio che ce l'ha donata. Se Dio mi ha voluta mettere alla prova, cerco di comprendere nel silenzio la Sua voce, trasmettendo questo messaggio cioè il rispetto e l'amore per la vita.