Parigi, stadio Colombes, 9 giugno 1924. Sono i Giochi della VIII Olimpiade, il cinema li ha immortalati per le imprese di Harold Abrahams ed Eric Liddell, i due atleti britannici con 'le ali ai piedi'. Ma le Olimpiadi del '24 sono anche quelle della Nazionale uruguaiana di calcio che allo stadio Colombes batte 3-0 la Svizzera e vince la medaglia d'oro, interrompendo il dominio incontrastato del calcio europeo. All'epoca non esisteva ancora il Campionato del Mondo, vincere l'alloro di Olimpia equivaleva ad un titolo iridato. L'Uruguay che nella prima metà degli anni '20 dominava già il calcio sudamericano, mostrò all'Europa i progressi di un intero continente.
La leggenda inizia qui, quella di una squadra praticamente invincibile che avrebbe vinto tutto ciò che c'era vincere, la prima Nazionale a 'dominare il mondo' consegnando alla storia fuoriclasse del calibro di Andrade, Nasazzi, Scarone, Petrone e Cea. Le gesta di questi calciatori in maglia Celeste sono raccontate nell'ultimo libro di Niccolò Mello, "Quando il calcio era Celeste. L'Uruguay degli invincibili".
Un libro 'unico'
Abbiamo intervistato Niccolò Mello, giornalista appassionato ed esperto di calcio, caporedattore della redazione sportiva de 'Il Biellese'. Si tratta della sua seconda opera, la prima uscì due anni fa, "Salvate il soldato Pallone", edita da Bradipolibri. Una storia avvincente, il racconto di undici coppie di calciatori - amici o compagni di squadra - tra imprese sportive e vicende belliche legate alla Seconda Guerra Mondiale che li investirono al pari di milioni di giovani di tutto il mondo.
Il secondo libro punta esclusivamente l'attenzione sull'aspetto sportivo di una squadra di calcio, ma si tratta di un libro 'unico' nel suo genere, come ci spiega lo stesso autore. "Ci sono squadre che nella storia del calcio hanno lasciato una traccia indelebile, non solo per le vittorie, ma anche per aver innovato il gioco del calcio.
Sono stati scritti tanti Libri sulla 'Grande Ungheria', sul Brasile di Pelè, sull'Olanda del calcio totale. L'Uruguay degli anni '20 rientra nel lotto delle squadre che hanno scritto la storia di questo sport, eppure nessuno aveva mai scritto un libro sull'argomento. Pertanto, ho voluto dare il mio piccolo contributo colmando una sorta di 'vuoto'.
Mi auguro che altri scrittori ed appassionati di calcio raccolgano il testimone e portino avanti il racconto di questa squadra". L'opera di Niccolò Mello ha già varcato l'oceano: Matteo Forciniti, gestore del sito italiauruguay.com insieme a David Napodano, gli ha dedicato due pagine nella rivista 'Gente d'Italia', punto di riferimento della comunità italiana di Montevideo.
Esempio di bel calcio e di integrazione
Campione Olimpico nel 1924 e 1928, Campione del Mondo nel 1930, Campione del Sudamerica nel 1920, 1923, 1924 e 1926. L'Uruguay fu davvero la prima rappresentativa nazionale a vincere tutto, mostrando ovunque un gioco spumeggiante scandito dalle doti tecniche dei suoi frombolieri: triangoli stretti palla a terra, numeri d'alta scuola, il prototipo di un calcio offensivo e spettacolare.
Ma la parabola della Celeste va oltre lo sport, è quella di una Nazionale multietnica dove giocano bianchi, neri, immigrati italiani, spagnoli, inglesi, simbolo di un piccolo Paese che già negli anni '20 presenta una società all'avanguardia. "Sono tanti gli aspetti affascinanti legati a questa squadra - sottolinea Niccolò Mello - al di là di dieci anni in cui vinse tutto. Era un calcio ancora dilettantistico, non c'erano divi, ma persone che quando era il momento di allenarsi o disputare le partite, toglieva i panni quotidiani del lavoratore. Così c'erano falegnami, postini, fruttivendoli, lustrascarpe, uniti dall'amore per il calcio e dalla voglia di rappresentare il proprio Paese nel mondo".
Nel calcio di oggi, un concetto del genere è assolutamente alieno, ma l'autore del libro cita un esempio per tutti. "All'epoca Hector Scarone era ciò che oggi sono Messi e Cristiano Ronaldo. Il Barcellona gli propose un ricchissimo contratto da professionista, ma lui preferì rimanere in Uruguay e continuare a fare il dilettante, in modo da partecipare ai Giochi Olimpici con la propria Nazionale. Oggi questo sarebbe assolutamente inconcepibile, era un altro calcio molto più romantico, fatto di sentimenti puri e vicino alla gente".
La Celeste ed il 'Gotha' del calcio mondiale
Nella storia del calcio, l'Uruguay sarà sempre ricordato in particolare per aver organizzato e vinto il primo Mondiale nel 1930.
C'è chi definisce quel torneo un 'piccolo mondiale', per l'assenza delle maggior parte delle squadre europee. "Questo è vero - sottolinea Mello - ma nel 1930 quella squadra era già alla fine del suo grande ciclo. La finale di Montevideo del 1930 contro l'Argentina rappresenta comunque il meglio del calcio mondiale di quell'epoca, non dimentichiamo che le due nazionali sudamericane erano già state protagoniste di un'altra finale, quella olimpica di due anni prima. Ed in quelle Olimpiadi, così come quelle del 1924, erano presenti tutte le più forti rappresentative europee. L'Uruguay vinse due titoli olimpici in Europa, la storia dei Mondiali di calcio dimostra quanto sia difficile vincere lontano dal proprio continente: soltanto il Brasile e, in tempi più recenti, la Spagna e la Germania ci sono riuscite".
Il libro rende pertanto giustizia ad una squadra che, spesso, quando si elencano le 'Nazionali ideali' della storia del calcio, viene esclusa. "L'Uruguay degli invincibili, l'Italia di Vittorio Pozzo, la 'Grande Ungheria', il Brasile di Pelè del 1970, l'Olanda degli anni '70 e la Spagna del periodo 2008-2012 sono le squadre nazionali che hanno segnato la storia del calcio perché hanno lasciato una traccia innovativa che è stata presa d'esempio da altre formazioni. Sono squadre che sarebbero state grandi in ogni epoca, perché una grande squadra è sempre una grande squadra ed un fuoriclasse rimane tale, indipendentemte dai periodi storici".