Storie di atleti e di uomini che hanno scritto pagine indelebili nella storia del calcio. Il Mondiale di Russia 2018 è sempre più vicino e diventa ormai uso frequente ricordare i protagonisti di quasi 90 anni di storia della Coppa del Mondo. Ci sono leggende, ancora viventi, che hanno segnato i campionati del mondo con le loro prodezze, ma ci sono anche 'eroi dimenticati', eroi per caso le cui imprese viste con gli occhi dei giovani d'oggi sono quasi insignificanti. Ma la storia di Joe Gaetjens ha cambiato per sempre il gioco più bello del mondo, segnando la fine di un'epoca.
La storia di uno studente haitiano immigrato negli Stati Uniti che, davvero, tutto si aspettava nella vita tranne che essere il protagonista della sorpresa sportiva più clamorosa di tutti i tempi.
I Mondiali brasiliani del 1950
Siamo nel 1950. Il calcio mondiale riapre i battenti dopo la pausa di 12 anni imposta dalla guerra e dalla ricostruzione post-bellica. A vent'anni di distanza dalla prima Coppa del Mondo organizzata in Uruguay, la Coppa Jules Rimet viene rimessa in palio in Sudamerica in una terra dalle immense tradizioni pedatorie come il Brasile. La squadra di casa è la grande favorita della kermesse iridata: l'Italia detiene il titolo da 12 anni, ma si presenta ai Mondiali senza gli uomini del Grande Torino periti un anno prima nella tragedia di Superga.
Manca l'Argentina, dominatrice della Copa America nella seconda metà degli anni '40 il cui calcio è devastato dalla crisi economica ed è stato messo in ginocchio da un clamoroso sciopero dei giocatori durato quasi un anno (la celebre huelga) che ha portato quasi tutti gli atleti più forti e talentuosi ad emigrare (tra cui anche Alfredo Di Stefano).
L'Albiceleste rinuncia al Mondiale al quale è presente per la prima volta l'Inghilterra. I 'maestri' vengono considerati l'unico ostacolo che può impedire ai brasiliani la conquista della Coppa del Mondo.
Fine dello 'splendido isolamento'
Difficile spiegare oggi cosa rappresentasse in quell'epoca l'Inghilterra. La patria del football, dove tutto è iniziato poco dopo la metà dell'800, la squadra invincibile che non si 'sporcava' nel confronto con le altre nazioni se non per sporadiche amichevoli che sapevano di sfida impossibile, concessa dai maestri dall'alto della loro nobiltà innata.
Gli inglesi non avevano avuto alcun bisogno di partecipare alle prime tre edizioni dei Mondiali, non avrebbe avuto senso concorrere per un titolo di campione del mondo che ritenevano virtualmente di detenere. Le cose però nel dopoguerra iniziano a cambiare e la Federazione d'oltremanica, per la prima volta, decide di mettersi in discussione ponendo fine a quello che veniva definito uno 'splendido isolamento'. Anche gli inglesi hanno individuato nel Brasile l'unico vero ostacolo verso la Coppa del Mondo, ma contano comunque di sbaragliare i padroni di casa e qualunque altra avversaria possibile, ad iniziare da quelle del girone del primo turno: Cile, Stati Uniti e Spagna.
Studenti in vacanza
La cenerentola del girone è certamente la nazionale statunitense.
Dopo aver raggiunto le semifinali ai Mondiali uruguaiani del 1930, la squadra a stelle e strisce non è più riuscita a ripetersi: l'ultima apparizione internazionale era stata quella di due anni prima alle Olimpiadi di Londra dove aveva beccato 9 gol dall'Italia. Gli americani non puntano certamente a vincere i Mondiali, ma quantomeno ad evitare di essere umiliati: ragion per cui alla vigilia dell'evento convocano alcuni giocatori che militano nella American Soccer League, ma che non sono statunitensi di nascita. Tra questi Joe Gaetjens, 26enne attaccante haitiano del New York Brookhattan Galicia, bomber dell'ultimo campionato nazionale. In realtà lui non ha neanche la cittadinanza, ma la Federazione gli fa firmare un impegno ad assumerla nel prossimo futuro: ciò basta ed avanza per convocarlo.
Gaetjens è figlio di nobili decaduti dell'isola di Haiti ed è venuto a studiare alla Columbia University, svolgendo anche il mestiere di lavapiatti per mantenersi agli studi. Non è un professionista, non lo è nessuno dei giocatori della sua Nazionale. Nella prima partita, gli Stati Uniti fanno la loro bella figura: affrontano la Spagna, passano in vantaggio nel primo tempo, ma subiscono tre gol in 10' nella fase finale del match. L'Inghilterra batte 2-0 il Cile senza alcun problema e nella seconda partita c'è il confronto diretto. A Belo Horizonte va in scena una gara dall'esito scontato.
Il miracolo di Belo Horizonte
Ma ciò che accade nel pomeriggio del 29 giugno 1950 allo stadio 'Raimundo Sampaio' è assolutamente inaspettato.
Gli inglesi iniziano a spron battuto ritenendo di poter fare un solo boccone di coloro che ritengono solo 'sprovveduti studentelli' e creano numerose palle-gol, ma il portiere Frank Borghi che in patria lavora in un'impresa di pompe funebri si dimostra un osso ben duro. In difesa un altro italo-americano, Charlie Colombo, non va per il sottile e gli eleganti assi di Albione finiscono ben presto per assaggiare i suoi tacchetti. Al 38' del primo tempo il difensore americano Walter Bahar tenta una conclusione da oltre 20 metri, Bert Williams sventa in tuffo, ma sulla ribattuta interviene Gaetjens di testa che spedisce il pallone in fondo alla rete. Lo sommergono di abbracci, ma la partita è ancora lunga.
Eppure quel gol a sorpresa incassato contro una squadra di dilettanti allo sbaraglio pesa come un macigno sul morale dei maestri del football, troppo leziosi, lenti e presuntuosi. Di contro i giovani statunitensi lottano come veri leoni su ogni pallone; l'Inghilterra finisce per attaccare a testa bassa senza alcuna lucidità, ma la porta di Borghi rimane stregata fino al triplice fischio. In una Londra incredula, scopriranno pertanto che anche nel resto nel mondo esistono squadre che giocano bene al pallone, ma la beffa più atroce è che la squadra in questione è composta da studenti ed onesti mestieranti del rettangolo verde, nulla di più. Entrambe le formazioni, comunque, pagheranno il match: gli inglesi, ancora sotto choc, perderanno anche con la Spagna e saluteranno il Mondiale, stesso destino per Gaetjens e compagni che, decisamente provati fisicamente dopo la straordinaria impresa, crolleranno contro il Cile (2-5).
Al girone finale accede la Spagna, insieme a Svezia, Brasile ed Uruguay: sono i Mondiali del 'Maracanazo' e li vinceranno gli uruguaiani grazie al celebre 2-1 in rimonta contro i padroni di casa, determinando un'altra grande sorpresa e, nel contempo, una tragedia nazionale.
Il ritorno in patria e la tragica fine
Ironia del destino, l'autore del miracolo americano non diventerà mai americano. Joe Gaetjens si guadagnerà un ingaggio in Europa, nel Racing Club di Parigi, campionato francese. Una vera meteora, solo quattro gare (e due gol) a causa di un ginocchio che fa i capricci. Nel 1951 si trasferisce all'Ales, seconda divisione francese, ma anche qui i guai fisici lo tormenteranno. Nel 1953, a 29 anni, l'eroe di Belo Horizonte torna nella sua Haiti e prosegue a giocare a calcio anche se con poca continuità, accusando frequenti acciacchi ed altri problemi di salute.
Allo sport alterna una nuova attività, apre un negozio di pulitura a secco. Appenderà definitivamente le scarpette al chiodo nel 1957, l'anno in cui il futuro dittatore Francois Duvalier vince le elezioni. Per Gaetjens iniziano i guai: lui non si interessa di politica, ma la sua è una famiglia influente che, oltretutto, ha sostenuto apertamente Louis Déjoie, rivale di Duvalier alle presidenziali. I i suoi fratelli, oltretutto, vivono nella confinante Repubblica Dominicana e si mormora vogliano organizzare un golpe contro il governo in carica. Quando nel 1964 'Papa Doc' cancella la democrazia e si dichiara presidente a vita, dando inizio al suo regime spietato e sciamanico, la famiglia di Joe lascia Haiti.
Lui però rimane, non ritiene di avere problemi: è un personaggio popolare, amato da tutti, un eterno ragazzo che, forse, non si rende conto di ciò che gli sta accadendo intorno. Così l'8 luglio del 1964 viene arrestato dai famigerati miliziani Tonton Macoutes e, pur non avendo colpe specifiche, pagherà i sospetti che pesano sulla sua famiglia. Il suo destino è incerto, c'è un'ipotetica data di morte al 10 luglio 1964: probabilmente viene fucilato nel cortile del carcere di Fort Dimanche o, forse, muore per le torture riservate ai prigionieri politici. Aveva 40 anni, il suo corpo non verrà mai trovato. Di lui restano le foto di un caldo giugno brasiliano del 1950, quel sorriso incredulo da bambinone, quella casacca di una nazione che non gli apparterrà mai.
Rimane un gol che ha cambiato per sempre la storia del calcio e del quale, incredibilmente, non c'è una nitida immagine filmata, ma solo un pallone che finisce in rete. Perché quasi nessun operatore o fotografo, quel giorno a Belo Horizonte, era dietro la porta dell'Inghilterra: erano tutti convinti che da quelle parti non potesse accadere nulla di così interessante da poter essere immortalato.