In tema di separazione e divorzio, il giudice, in sede di regolamentazione dei rapporti e delle circostanze della famiglia, assegna la casa al coniuge che vive con i figli. Normalmente è la madre. Si diviene, quindi, beneficiari dell'assegnazione della casa familiare, anche se non si è titolari della medesima. La "ratio" di questa oramai consolidata prassi è molto chiara: si vuol cercare di rendere quasi perpetuo il diritto dei figlia continuare a vivere tra le mura che hanno rappresentato il principale centro di affetto. E quando si parla soprattutto del diritto di proprietà, non si può prescindere da tale pacifico e non contraddetto assunto.

Ma se talvolta può essere consigliabile non abbandonare il tetto familiare, in altre fattispecie vige una diversa scuola di pensiero.

Cosa accade se i figli vanno via di casa?

Il provvedimento del giudice di assegnazione della casa familiare è limitato ad un arco temporale. Il coniuge non titolare decade dalla possibilità di vivere in quell'abitazione, nel momento in cui i figli andranno via. Tutto ciò può verificarsi per plurime ragioni: per motivi di studio, di lavoro, di nuove esigenze familiari, ecc. La Cassazione ha chiarito questo passaggio nella sentenza n. 7621 dello scorso 18 aprile. Il godimento dell'immobile da parte del coniuge non affidatario della casa, ma affidatariodella prole, non è esclusivo e illimitato.

I giudici di legittimità, in alcune ipotesi, non ravvedono la necessità logica di continuare a vivere presso la dimora dell'altro. L'abbandono della casa da parte dei figli rientra proprio in tali ipotesi.

Altri casi che prevedono l'abbandono della casa del coniuge beneficiario

I medesimi presupposti sussistono sia in positivo che in negativo, nei casi di affitto della casa familiare o di assegnazione di un appartamento di un complesso di casa popolare.

L'interesse alla serenità e all'equilibrio dei minori mostra una priorità maggiore rispetto ad una eventuale fase di riappacificazione dei coniugi. Una separazione può avere qualsivoglia contenuti, ma su taluni aspetti, riguardanti i soggetti diversi dalla coppia, le regole sono molte più rigide. Vige una disciplina aprioristica e astratta, che seppur si cali nella realtà concreta, conserva i suoi connotati. La Cassazione si è pronunciata anche su altre questioni connesse.