Non sappiamo se l’appello sia motivato da un sincero pentimento o semplicemente da paura. La richiesta di aiuto giunge da Meriem Rehaily, 19 anni, padovana di origini marocchine. Nel mese di luglio dell’anno scorso la giovane fuggì dalla sua casa di Arzegrande, piccolo centro della provincia patavina, per recarsi in Siria ed arruolarsi nelle milizie islamiste. Qualche mese prima Meriem aveva anche stilato una lista da consegnare ai capi dello Stato Islamico, conteneva nomi, dati anagrafici ed indirizzi. Erano ufficiali italiani delle forze dell’ordine, tutti obiettivi sensibili da eliminare, un reato per il quale è attualmente indagata dalla Procura di Roma.
Successivamente avrebbe preso il volo verso la Turchia e da lì si sarebbe trasferita in Siria. Circa un mese fa ha contattato telefonicamente un parente, sostenendo di essersi pentita della sua scelta e di non essere più in grado di reggere la situazione. Questa telefonata, intercettata dai carabinieri del Ros, ha fatto scattare il protocollo internazionale. L’obiettivo è ovviamente quello di proteggere la giovane e la sua famiglia, visto che ora potrebbe essere accusata di diserzione dalle milizie islamiste ed è facile immaginare le conseguenze.
I soldati della cyber-jihad
Tra gli obiettivi dichiarati dell’Isis c’è sempre stato quello di distruggere la cultura occidentale, eppure proprio gli esponenti di una cieca “guerra santa” si sono sempre avvalsi di Internet sia per lanciare i loro minacciosi proclami, possibilmente diffondendo immagini di cruente esecuzioni, sia per reclutare i soldati della cosiddetta “cyber-jihad”.
Meriem Rehaily era una di questi miliziani informatici, con il nome di “Sorella Rim” avrebbe corrisposto con islamisti che la contattavano da diversi continenti. A lei, esperta di social network e di sistemi informatici anti-tracciamento, chiedevano consigli su come fare propaganda online senza essere individuati dalle forze di polizia.
Alla sua famiglia aveva detto a più riprese che non sarebbe tornata indietro ma evidentemente è accaduta qualcosa che le ha fatto cambiare idea. Meriem è una dei foreign fighters, i combattenti stranieri che hanno deciso di aderire alla causa dello Stato Islamico. Il suo supporto alla jihad è esclusivamente logistico ma la maggior parte hanno dato e danno il loro contributo sul campo di battaglia, in Siria ed in Iraq.
Combattenti ‘italiani’, una sparuta minoranza
Nel database delle polizie internazionali sono presenti 93 nominativi di “foreign fighters” provenienti dall’Italia. Un numero che non deve assolutamente allarmare se consideriamo che i combattenti che si sono uniti all’Isis ed provenivano dall’Europa sarebbero stimati tra i 5.000 ed i 7.000. Oltretutto, tra questi sono pochissimi quelli di nazionalità italiana: meno di dieci ed alcuni sono semplicemente in possesso di passaporto italiano. La stragrande maggioranza sono stranieri passati dall’Italia e partiti verso il Medio Oriente per arricchire un numero impressionante di miliziani non nativi dei posti dove sono attualmente in corso azioni di guerra.
Stime non ufficiali parlano di 30.000 soggetti ma potrebbero anche essere di più. Tra gli italiani di nascita un nome su tutti: è quello ormai tristemente famoso di Maria Giulia Sergio, originaria della provincia di Napoli e conosciuta come “Fatima”. Per lei - attualmente in Siria per combattere nelle milizie jihadiste insieme al marito, l’albanese Aldo Kobuzi - e per i suoi familiari è in corso un processo a Milano: gli imputati sono accusati di terrorismo internazionale. E poi, ancora, Giuliano Delnevo conosciuto come Ibrahim, 23enne genovese che ha trovato la morte in Siria, nei dintorni di Aleppo, nel 2013; il calabrese Giampiero F. attualmente agli arresti in Iraq e la giovanissima Sonia K.,italo-tunisina di 18 anni, cresciuta in provincia di Treviso. Quest’ultima si sarebbe arruolata nelle milizie jihadiste non ancora maggiorenne.