Nella casistica giurisprudenziale presupposto indispensabile per far scattare l’addebito nei confronti di un solo coniuge è la violazione dei doveri matrimoniali che, determinando la crisi di coppia, deve essere precedente alla proposizione della domanda di separazione. I magistrati pacificamente, infatti, ritengono che debba sussistere un rapporto di causa-effetto tra il comportamento contrario ai doveri coniugali del coniuge e la sopravvenuta intollerabilità della convivenza. Ma quali possono essere in concreto i presupposti ritenuti idonei a fondare una domanda di addebito a carico della moglie o del marito?

Ebbene la Corte di Cassazione con la sentenza n.8149 del 22 aprile ha dato una risposta piuttosto esauriente a tale quesito. L'ex marito, nella vicenda da cui trae origine tale sentenza, per fondare la richiesta di addebito della separazione a carico della moglie aveva prodotto in giudizio delle lettere con le quale la moglie faceva autocritica ammettendo degli errori macroscopici che hanno poi fatto sgretolare il rapporto coniugale. L’intento dell’ex marito era di chiedere il mantenimento a suo favore in considerazione anche della sproporzione dei redditi. E’ proprio per sottolineare il grande valore probatorio delle missive idonee quindi a dimostrare la violazione degli obblighi matrimoniali della ex consorte ha dichiarato che esse rappresentavano una vera confessione messa nero su bianco.

Quando la posta incriminata diventa motivo di addebito?

Gli ermellini però nell’individuare chirurgicamente la sottile linea che permette o meno di ritenere legittima e fondata la richiesta di addebito, hanno escluso che quelle lettere potessero costituire la prova regina per addossare sulla ex moglie la fine del matrimonio.

I motivi che i giudici di Piazza Cavour passano in rassegna per arrivare alla conclusione sono da ricondurre innanzitutto al fatto che la posta “incriminata”, risaliva ad un periodo di molto precedente la separazione e la stessa non dimostrava certo che la moglie fosse venuta meno ai sui doveri coniugali. Dall’interpretazione delle lettere traspariva semmai una chiara autocritica che la donna faceva a se stessa, che benché riferita alla sua relazione matrimoniale, testimoniava che il comportamento dei coniugi è spesso espressione di ombre e luci.

La Suprema Corte, non ha quindi accolto la richiesta di addebito della separazione, evidenziando quindi che quelle missive costituivano semplicemente una presa di coscienza della scelta di interrompere il legame coniugale. Ed ecco perché che l’assunzione da parte della ex moglie della responsabilità per la separazione non poteva certo voler significare ammettere di aver violato gli obblighi assunti al momento della celebrazione del matrimonio.

Le motivazione della Corte di Cassazione

Il ricorso dell’ex marito è stato rigetto però anche con riferimento alla richiesta da lui avanza di vedersi attribuire l’assegno di mantenimento. L’uomo aveva infatti affermato che, dopo la separazione, il suo tenore di vita era peggiorato.

Peccato che all’occhio attento dei magistrati non è sfuggito che fra le due situazioni patrimoniali risultava solo apparentemente una sproporzione. E questo perché mentre la ex moglie aveva un reddito che superava di poco i mille euro mensili ed abitava in una villa prima di sua proprietà che era stata donata al figlio che consentiva alla madre di abitarci, la situazione del marito era più oscura. Infatti egli aveva dichiarato che percepiva solo una pensione da medico specialista di 500 euro al mese. Dall’esame della documentazione prodotta in giudizio è però emersa la presenza di inserzioni sulle pagine bianche e gialle dove veniva “pubblicizzata” la sua attività di medico specializzato in dietologia e nefrologia.

Questo quindi dimostrava che percepiva quindi uno stipendio notevole, proprio perché in realtà esercitava ancora la professione, nonostante fosse andato in pensione. Per altre informazioni di diritto potete premere il tasto segui.