Sono accuse pesanti quelle che la professoressa Kelli Burns, che insegna mass media allaUniversity of South Florida, rivolge al social network di Palo Alto. Secondo la docente, Facebookascolterebbe le nostre conversazioni, con lo scopo di profilarci e definire quali pubblicità farci visualizzare.

Il microfono sotto accusa

Il microfono di Facebook, una funzionalità al momento disponibile solo negli Stati Uniti, secondo i dirigenti del social network di Palo Alto, non registrerebbe le conversazioni degli utenti, così come riportano i termini contrattuali del servizio."Quando scrivi un aggiornamento di stato, usiamo il tuo microfono solo per individuare i contenuti che stai ascoltando o guardando in base alla musica e ai programmi Tv che siamo in grado di identificare", dicono da Facebook.

Le accuse della professoressa

La docente sostiene di aver capito che Facebook ascolta le conversazioni, poiché dopo aver parlato di certi temi al telefono, si è ritrovata sulla bacheca del social annunci pertinenti alla conversazione. Da Facebook si sono difesi sostenendo che sono in grado di offrire la pubblicità contestuale basandosi sugli interessi degli utenti e sulle informazioni che il social recepisce, smentendo di ricorrere all'audio.

Pur negando categoricamente di ascoltare le conversazioni degli utenti, da Menlo Park ammettono di catturare, attraverso il microfono, i rumori ed i suoni ambientali presenti intorno all'utente.

Polemiche sulle nuove emoticon sui "mi piace"

Anche il rilascio delle nuove emoticoncon le quali si può "specificare" cosa vogliamo comunicare cliccando il pulsante "mi piace", è finito sotto accusa da parte della polizia belga, che ne ha sconsigliato l'utilizzo a chi vuole proteggere la propria privacy.

"Servono per profilare gli utenti", hanno detto le autorità belga.

Nel marzo di un anno fa era stato il giornale inglese The Guardiana muovere accuse contro Facebook, sostenendo che il social network"tiene traccia della navigazione sul web anche degli utenti che hanno esplicitamente negato il loro consenso”, ipotizzando che il social violasse le normative europee in materia di privacy.