Autobombe, camion killer che si scagliano sulle folle e lupi solitari che iniziano a sparare all’impazzata nei luoghi gremiti di gente sono solo alcuni degli espedienti che, ad oggi, lo #Stato Islamico ha adottato per ‘punire’ il mondo occidentale. È, infatti, arrivato ieri dal governo inglese un nuovo allarme che designa le armi chimiche come la nuova frontiera del terrore. Il ministro degli interni Ben Wallace, durante un’intervista rilasciata al Sunday Times, ha dichiarato che i jihadisti “non hanno ostacolo morale a usare armi chimiche contro le popolazioni e, se potessero, lo farebbero in questo Paese”.
Le parole del ministro degli interni inglese
Il ministro ha poi aggiunto: “Il numero di vittime che potrebbe essere coinvolto sarebbe la peggior paura di tutti”. Cresce, quindi, il terrore per le ‘dirty bombs’, ordigni letali subdolamente e occultamente capaci di creare vittime e avvelenare completamente l’esistenza di generazioni già impossessate psicologicamente dal terrorismo. Le chemical weapons, infatti, non sono temibili per ciò che potrebbero causare le loro esplosioni, ma per l’inarrestabilità della diffusione di veleni e virus che potrebbe essere provocata in qualsiasi area metropolitana e che difficilmente potrebbe essere contrastata.
I possibili luoghi a rischio
In un mondo, almeno fino a poco tempo fa, per lo più propenso alla globalizzazione e alla creazione di ambienti cosmopoliti, sono moltissime le aree da cui potrebbe avere inizio la guerra chimica: luoghi affollati, mezzi di trasporto, acquedotti e le università sono tra i luoghi privilegiati sia per la loro frequentazione che per il loro valore culturale.
Data la fondatezza delle notizie in relazione alle armi chimiche, ulteriormente consolidata dall’attacco pianificato tra il 2002 e il 2003 alla metropolitana di Londra con proteine di ricina, una potente citotossina naturale capace di causare la morte cellulare. Già nel 2015 la Eau de Paris, società che gestisce le reti idriche della Capitale francese, aveva deciso di alzare le misure di sicurezza intorno all’acquedotto che alimenta Parigi.
Se ad oggi la guerra chimica in Occidente non è stata ancora lanciata, gran parte del merito va a al preside della facoltà di Mosul che, nel 2015, è stato giustiziato sulla piazza di Ninive per non aver voluto collaborare con l’Isis. Da quel momento la campagna per il reclutamento di biologi, fisici e chimici capaci di creare ‘dirty bombs’ ad alto potenziale si è inasprita e la consapevolezza dell’imprevedibilità e della grandezza di questa strategia è accresciuta in ogni sponda.
Basti pensare al ritrovamento di un computer, in un accampamento dell’Isis in Siria, all’interno del quale erano contenuti svariati studi sulle armi chimiche e, in particolare, sull’uso della peste bubbonica come arma chimica. Particolarmente temuti sono anche gli Rdd, ordigni radiologici dati dalla combinazione di esplosivo e rilevanti quantitativi di celsio e radio facilmente reperibili visto il diffuso uso che se ne fa per la cura del cancro.