Sono trascorsi trentadue anni e c'era la mafia, così come oggi. Silenziosa come una serpe in giardino, letale. "La mafia non esiste", disse l'allora sindaco di Trapani, Erasmo Garuccio, e divenne oggetto di una nota vignetta satirica di Giorgio Forattini: il primo cittadino indignato solo perché, all'indomani di una strage dove avevano trovato la morte una giovane donna e due bambini, qualcuno aveva parlato dell'esistenza della mafia a Trapani. Oggi sappiamo che la mafia esiste, a Trapani ed in tante altre città italiane. Nel corso degli anni abbiamo conosciuto i mille volti di quella serpe silente e micidiale: alcuni sono morti, altri processati e condannati, ma la mafia esisteva prima di costoro ed esiste ancora.
Trentadue anni dopo la strage di Pizzolungo, comune di Erice, provincia di Trapani, quella serpe continua ad insinuarsi nel giardino, ma lo fa in maniera così subdola che quasi non ci si accorge del suo passaggio. Trentadue anni fa, il sangue di tre vittime innocenti portò orrore e consapevolezza sulla crudeltà di Cosa Nostra. Oggi la mafia non uccide più ed è come se fosse stata spazzata via dalle prime pagine e dalla memoria delle persone, non fa più notizia.
La strage del 2 aprile 1985
Stamani il Comune di Erice, nell'ambito del ciclo di manifestazioni 'Non ti scordar di me' organizzato insieme a Libera, ha ricordato la signora Barbara Rizzo ed i gemelli Salvatore e Giuseppe Asta. Il 2 aprile del 1985 persero la vita nel fallito attentato al giudice Carlo Palermo.
Un tragico scherzo del destino sovrappose la Volkswagen Scirocco guidata dalla giovane donna, 30 anni all'epoca dei fatti, alla Fiat 132 blindata del magistrato. La vettura condotta da Barbara, sulla quale viaggiavano i due figli di 6 anni, fece da scudo a quella del giudice nel momento in cui esplose l'autobomba carica di tritolo, parcheggiata nella frazione balneare di Pizzolungo, a pochissima distanza dall'Hotel Tirreno.
Una strage di cui, trentadue anni dopo, non si conoscono gli esecutori materiali. Gioacchino Calabrò, Vincenzo Milazzo e Filippo Melodia, esponenti di spicco delle cosche di Alcamo e Castellammare del Golfo, vennero condannati all'ergastolo in primo grado, ma poi assolti tanto in Appello quanto in Cassazione. Negli anni successivi, le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia hanno portato ai procedimenti ed alle condanne dei mandanti: il capo dei capi, Totò Riina, il boss del mandamento di Trapani, Vincenzo Virga, e Balduccio Di Maggio, l'uomo che permise l'arresto di Riina nel 1993.
Cosa resta della memoria
Il rischio è palese, quello che Barbara Rizzo ed suoi figli, insieme a tante altre vittime di mafia, diventino vuote icone di una memoria fine a sé stessa. Dalle stragi degli anni '80 e '90 è nata una coscienza antimafia, ma anche tanti opportunisti e parolai, i cosiddetti "professionisti dell'antimafia" che hanno fatto di questa etichetta un mestiere redditizio. La lotta a Cosa Nostra è stata 'commercializzata': una sconfitta per quella coscienza ferita che negli scorsi decenni decise di destarsi. Oggi la mafia non dà più percezione di esistenza se non quando si parla della caccia a Matteo Messina Denaro, l'ultimo dei boss della vecchia guardia ancora latitante. Ciò permette a Cosa Nostra di vivere parallelamente alla società civile, di insinuarsi ed inquinarne il tessuto.
Una pericolosa deriva, in una società densa di false minacce distorte, amplificate ad hoc dal potere comunicativo dei social network. La stessa società che ospita il figlio di un boss sulla TV di Stato o che accoglie a braccia aperte decine di fiction televisive che trattano l'argomento 'mafia' alla stregua dell'epopea del vecchio west. Da qui al revisionismo storico, alla 'mafia che non esiste', il passo è breve. In realtà un'affermazione del genere la fece anche Vittorio Sgarbi nel 2011, quando era sindaco di Salemi, provincia di Trapani. Il suo Comune sarà sciolto per inquinamento mafioso soltanto un anno dopo.