Il terrore stavolta guarda ad est. Le vittime dell'esplosione sul vagone della metropolitana di San Pietroburgo, tra le stazioni del Teknologicheskiy Institut e della Sennaya Ploshchad, sono 14. Sette sono morti sul posto, altri sei sono deceduti in ospedale a causa delle gravissime ferite ed una persona è spirata sull'ambulanza che la stava trasportando al pronto soccorso. Ci sono inoltre una quarantina di feriti, alcuni dei quali in pericolo di vita. Esecutori e mandanti della strage sono, al momento, sconosciuti. La polizia russa era inizialmente sulle tracce di due persone, una delle quali è stata filmata dalle telecamere di sicurezza.

Carnagione olivastra, copricapo e folta barba nera, una clip diffusa in tutta la Federazione russa. Ma il diretto interessato si è presentato spontaneamente alla polizia ed è stato scagionato.

L'ipotesi di un attacco kamikaze

I sostenitori dell'Isis hanno celebrato l'attentato sui loro network, ma da parte dello Stato Islamico non c'è alcuna rivendicazione. Non è da escludere che arrivi in un secondo momento, spesso le rivedicazioni jihadiste sono semplicemente opportunistiche. A rafforzare la tesi di una presunta responsabilità dei 'soldati' del Califfato ci sarebbero i manifesti, diffusi online soltanto pochi giorni addietro. "Bruceremo la Russia", era il testo inquietante del messaggio, e parecchi potrebbero fare la più elementare delle addizioni.

In realtà le forze antiterrorismo del Cremlino ci vanno caute: la Russia potrebbe essere certamente nel mirino dell'Isis per il suo ruolo attivo nella questione siriana. A prima vista, il modus operandi non sembrava quello dello Stato Islamico che prevede quasi sempre la 'spettacolarizzazione' del martirio. I due ordigni sembravano lasciati sul posto: quello che ha causato la morte di 14 persone all'interno del vagone, celato in una valigia 24 ore.

L'altro, successivamente disinnescato, era camuffato da estintore. Nelle ultime ore, però, il Comitato Investigativo Russo ha ipotizzato che l'ordigno letale possa essere stato attivato da un kamikaze. Il presunto killer ha già un nome: si tratterebbe di Maxim Arishev, 22enne originario del Kazakistan.

Gli emiri del Caucaso

Non solo Isis, l'altra pista porta al terrorismo ceceno che ha già colpito duramente la Russia nel recente passato.

La lunga guerra per l'indipendenza della Cecenia è terminata nel 2009 con la sconfitta dei separatisti, ma anche dopo la fine del conflitto si erano verificati attacchi terroristici, come quello del 2010 alla metropolitana di Mosca o del dicembre 2013 a Volgograd, a pochi giorni dalla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali di Sochi. Non è pertanto da escludere che l'attentato di San Pietroburgo possa essere stato guidato dagli islamisti dell'autoproclamato Emirato del Caucaso, una regione a maggioranza musulmana nata dalle ceneri della Repubblica cecena di Ichkeria. Fu il sedicente emiro Dokka Umarov ad ordinare l'attacco alla metro moscovita sette anni fa. Il 'Bin Laden ceceno' sarà poi ucciso nel 2013 in un blitz dei servizi segreti russi.

Il suo successore, Aslambek Vadalov, si trova invece in carcere dopo l'arresto, avvenuto lo scorso novembre in Turchia, ma potrebbe ancora essere in grado di coordinare azioni terroristiche in virtù di una fitta rete di fedelissimi tutt'ora attivi nella regione caucasica. Ultima pista, la meno battuta, riguarda organizzazioni criminali che non hanno implicazioni politiche o religiose, ma che si prendano la briga di organizzare attentati contro la popolazione civile senza alcun evidente tornaconto sembra piuttosto improbabile.