I colloqui di pace sulla Siria in quel di Ginevra, quelli ufficiali sotto l'egida dell'ONU, sono proseguiti in questi giorni nella quasi totale indifferenza dei media occidentali, salvo poche ed ordinarie comunicazioni. Nel caso specifico c'è davvero poco da dire, è un vertice 'interlocutorio', certamente meno produttivo degli incontri di Astana il cui secondo round, tra l'altro, è stato fissato per il 14 e 15 marzo prossimi. In Kazakistan, del resto, sono seduti al tavolo i veri attori principali: oltre ai rappresentanti di Assad e dei ribelli ci sono i tre 'arbitri' della questione siriana, Russia, Turchia ed Iran.

Paradossalmente, i colloqui infruttuosi sono convenienti se visti con gli occhi di Mosca, Ankara e Teheran, ma anche sul fronte di Damasco. Sebbene sia in atto un 'cessate il fuoco' ufficiale, le operazioni militari in Siria sono proseguite disegnando scenari favorevoli ai soggetti citati.

La riconquista di Palmira

La notizia più rilevante, relativa alle operazioni belliche, è stata la riconquista di Palmira da parte delle forze governative. La storica città è stata strappata dalle mani dell'Isis per la seconda volta in meno di un anno, un brillante successo militare ottenuto dall'esercito regolare siriano e dall'aviazione russa. A fornire supporto è stata anche l'aviazione statunitense che ha effettuato raid mirati nell'area di Palmira: non è un segreto che l'amministrazione Trump sia disposta a collaborare con Mosca (ed anche con Assad) nell'obiettivo di distruggere lo Stato Islamico.

Questo elemento conferma il cambio di rotta nei confronti del governo di Damasco: l'attenzione di Washington sembra puntata esclusivamente sulla guerra all'Isis e su Raqqa, principale roccaforte del Califfato, per il quale il Pentagono sta già predisponendo un piano. In merito (fonte Washington Post, ndr) è in atto l'invio di nuove unità delle forze speciali in Siria, oltre ad armi e mezzi destinati alle milizie curdo-sunnite che saranno parte attiva dell'offensiva.

Lo 'scudo dell'Eufrate'

Nel nord della Siria, la strategia russa ha probabilmente ottenuto il risultato più importante. L'azione dell'esercito turco ha centrato due obiettivi, ripulendo vaste aree dagli avamposti dell'Isis ed impedendo la riunificazione del Rojava, il cosiddetto Kurdistan siriano, ma l'operazione 'Scudo dell'Eufrate' si è chiusa con la conquista di Al-Bab.

Il controllo della città è fondamentale per Ankara in funzione anti-curda, ma c'è una linea che l'esercito non deve valicare onde evitare scontri con le forze di Damasco: un limite imposto da Mosca con il bene placet degli Stati Uniti. Inoltre, possibili tentativi di espansione turca verso est sono stati messi in sicurezza da un blitz dell'esercito siriano che, con la scusa di distruggere alcune 'sacche' dello Stato Islamico, ha costituito un cuscinetto al confine con l'area di Manbij (zona a maggioranza curda). In questo modo, è stata concessa alla Turchia la possibilità di mettere in sicurezza i propri confini dalla presunta minaccia curda e, nel contempo, viene garantita protezione ai curdi contro eventuali attacchi.

Rafforzata la posizione di Assad

Il disegno di Vladimir Putin rafforza la posizione di Bashar al-Assad che ora può contare anche sul silenzio-assenso degli Stati Uniti, interessati principalmente a farla finita con l'Isis. In mezzo a questo complesso Risiko, vige sempre la tregua tra Damasco ed i ribelli ma costoro, indeboliti militarmente dalla separazione con le milizie jiahdiste ex qaediste e, da sempre, incapaci di costituire un fronte unico tra le varie fazioni, sembrano destinati a restare 'vittime' delle loro stesse contraddizioni, soprattutto adesso che il sostegno statunitense sembra venuto meno. La tanto invocata 'soluzione per la Siria' sta per essere determinata dal campo di battaglia e per la diplomazia ONU si profila un'incredibile sconfitta in termini di prestigio e credibilità.