Venticinque anni equivalgono ad una generazione. I giovani nati dopo il 1992 non hanno conosciuto Giovanni Falcone ed hanno visto più o meno distrattamente le immagini di quel 23 maggio che sembrano tratte da una bolgia dell'inferno dantesco. Manca l'HD, diventato essenziale per incollare davanti allo schermo molti ragazzi d'oggi che, pertanto, preferiscono le fiction televisive dove, sempre più spesso, l'unica qualità è esclusivamente quella delle immagini. Falcone è diventato un'icona, un eroe o, se preferite, un martire. Eppure, parlare di martiri o eroi è alquanto offensivo per la memoria delle vittime di Capaci o delle altre stragi di mafia.
Si trattava semplicemente di uomini, professionisti che svolgevano un lavoro e lo hanno portato avanti fino alle estreme conseguenze. Il lavoro di magistrati e poliziotti era il lavoro di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei componenti della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo ed Antonio Montinaro. Il senso del dovere è, purtroppo, un concetto distorto per molti italiani e così l'opinione pubblica trasfigura in eroe chiunque abbia il coraggio di compiere il proprio dovere fino alla fine. Riconoscere i frutti del loro lavoro è invece il modo migliore per rispettare la memoria delle vittime di mafia, quelle morte sul campo di una guerra che coinvolse tutta la 'parte sana' dello Stato.
Le stragi ed il risveglio delle coscienze
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due giudici, due persone profondamente diverse, unite indissolubilmente da quell'incessante lavoro che ha dato nomi e volti a Cosa Nostra tra gli anni '80 e '90. Due uomini legati da un destino comune: quando Paolo Borsellino venne a conoscenza della morte del collega ed amico, il 23 maggio 1992, capì di avere i giorni contati.
Ne trascorsero 57 dalla strage di Capaci a quella di Via d'Amelio, eppure la fine di quella mafia che sembrava diventata invincibile iniziò proprio dall'eliminazione dei nemici più pericolosi. Le stragi del 1992, quelle che avrebbero dovuto dimostrare l'effettiva vittoria di Cosa Nostra nei confronti delle Istituzioni, innescarono una reazione non prevista dai mandanti.
La rabbia prese il posto della paura, migliaia di siciliani sarebbero scesi in strada a protestare contro quella dittatura di sangue imposta dai boss. Dieci anni prima, dopo l'omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo, un anonimo aveva affisso un cartello in via Isidoro Carini, nello stesso luogo dove erano stati trucidati il prefetto del capoluogo siciliano e la moglie, Emanuela Setti Carraro: "Qui è morta la speranza dei palermitani onesti". Ci vorrà un decennio e, soprattutto, tante altre vittime, ma nel 1992 quella speranza si sarebbe destata, proprio nel momento più disperato, e si sarebbe riversata in tutta la Sicilia come un fiume in piena.
I misteri mai risolti
Poco meno di sei mesi dopo la morte del giudice Borsellino, si sarebbe chiusa la carriera criminale di Totò Riina.
Il boss corleonese che aveva annegato nel sangue e spodestato i vertici della mafia siciliana, colui che Tommaso Buscetta aveva indicato come il 'capo dei capi', il mandante delle stragi ed il perfido condottiero di una delirante guerra senza precedenti contro lo Stato Italiano, verrà arrestato a Palermo, il 15 gennaio del 1993. Le circostanze che portarono alla sua individuazione dopo 24 anni di latitanza sono quantomeno singolari, ma si tratta soltanto di uno degli interrogativi che ancora oggi, più di vent'anni dopo, non hanno una risposta certa. Andando a ritroso nel tempo, si potrebbe parlare della borsa di Paolo Borsellino, portata via da un carabiniere il giorno della strage e rivenuta senza la famosa 'agenda rossa' di cui parlano ancora oggi i familiari.
Oppure il notebook di Falcone, la cui memoria venne cancellata, o la chiave della cassaforte del generale Dalla Chiesa di cui qualcuno si appropriò. Sarebbe stata ritrovata quando ormai la cassaforte era stata svuotata. Una regia occulta, dietro le quinte di ogni singola strage di mafia, pronta ad agire con silente tempestività. Un sospetto che sarà esposto da Giuseppe Ayala, uno dei pochi collaboratori di Falcone e Borsellino oggi ancora in vita, in uno dei suoi libri.
La mafia, oggi
L'Italia è un Paese dove i misteri restano tali. Ma se non possiamo sciogliere questi nodi, siamo comunque in grado di evidenziare l'evoluzione della mafia negli ultimi 25 anni. Un'organizzazione ancora forte, ricca di capitali ed eternamente impegnata nei suoi intrecci con imprenditoria e politica.
L'uomo di spicco di Cosa Nostra è un reduce del periodo stragista: Matteo Messina Denaro si è adattato al nuovo clima ed è tutt'ora un fantasma, nonostante l'infinita terra che magistrati e forze di polizia gli hanno bruciato intorno. La piovra possiede tentacoli che si allungano ovunque ci siano fiorenti interessi economici, il recente 'caso Lidl' in Nord Italia è una limpida dimostrazione. La mafia non uccide più, se non in sporadici episodi: nel XXI secolo sono state quattro le persone non affiliate ad alcuna 'famiglia' che sono state eliminate da Cosa Nostra, altrettanto rari sono stati i morti in guerre tra clan.
Omicidio alla Zisa
In quest'ultimo caso, quanto accaduto a Palermo alla vigilia dell'anniversario della strage di Capaci è certamente un campanello d'allarme.
Giuseppe Dainotti, 67 anni, boss scarcerato tre anni fa, è stato freddato in pieno stile stragista: si trovava in bicicletta quando i killer, in sella ad una moto, hanno aperto il fuoco in pieno centro abitato, nel quartiere della Zisa. Secondo gli investigatori si tratta di un regolamento di conti: l'uomo, esponente del mandamento di Porta Nuova, era tra gli imputati al maxiprocesso incardinato da Falcone e Borsellino nel 1986. Probabile che sia in corso una faida interna al clan, dopo l'arresto e la condanna del boss Alessandro D'Ambrogio. Ad ogni modo per il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, si tratta di un delitto 'simbolico' nella scelta del sito, della modalità e della data. Probabilmente soltanto gli spari danno l'esatta percezione di quanto Cosa Nostra sia ancora viva e palpitante, peccato che tante di quelle coscienze che si erano ridestate 25 anni fa siano tornate in letargo, mentre tante altre nate negli anni successivi hanno forse ereditato l'errata convinzione che la mafia non esiste, se non in quelle fiction distorte il cui spessore, oltretutto, è rovinosamente peggiorato negli anni.