Non c'è solo la "maledizione" di Tutankhamon o quella di Montezuma ad abbattersi su archeologici imprudenti, profanatori di siti archeologici, visitatori e turisti incivili, saccheggiatori di rovine. Anche pompei non scherza: il museo a cielo aperto presto o tardi si "vendica" portando sfortuna a chi abbia osato trafugare anche un pezzetto delle sue rovine sepolte dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Il furto della borchia di bronzo del VI secolo a.C. avvenuto qualche giorno fa, non è che l'ultimo episodio di una lunga serie che ha ferito il sito innanzitutto, poi il patrimonio italiano, quindi il direttore generale degli scavi, Massimo Osanna, colpito anche da un punto di vista personale perché il furto è avvenuto in un'area dove aveva condotto direttamente le ricerche.
Ma chi lavora a Pompei non dispera: sa per esperienza personale che presto o tardi l'oggetto trafugato tornerà "alla base". E' matematico: i ladri restituiscono ciò che hanno preso alla Soprintendenza con tanto di lettera di scuse. Se non sciagure, circostanze sfavorevoli si abbattono su chi ha osato rubare anche una pietruzza.
Pompei, le pietre rubate tornano 'a casa' per posta
Massimo Osanna, direttore generale della Soprintendenza autonoma di Pompei, un po' per lanciare una fondata provocazione e un po' perché sarebbe un modo originale di celebrare la città sepolta, sta pensando di di organizzare una mostra dal titolo "Quello che mi porto via da Pompei".
Pietre e pietruzze vulcaniche, tessere di mosaici, frammenti di intonaci, rubati dagli anni '60 in poi, dagli anni '90 hanno cominciato a tornare a casa, con tanto di lettera di spiegazione, scuse, raccomandazioni che siano ricollocati esattamente dove erano stati prelevati per fermare l'onda di sfortuna.
Qualche esempio "eccellente": una turista straniera ha rispedito alla Soprintendenza nel 2008 una "magica pietra": è un peccato, dice, ma non ha portato molta fortuna a lei e famiglia. Una donna che si firma "una visitatrice", ha rispedito un sasso spiegando che l'aveva preso per ricordo, ma le hanno detto che porta male ed essendo superstiziosa non vuol tenerlo, e anzi prega che sia ricollocato vicino ai nuovi scavi dove era stato prelevato.
Un altro in italiano scrive che restitusce i ciottoli rubati perché gli portano sfortuna e vuole tornare "libero". Un americano scrive che la moglie ha trafugato una pietruzza, ma da quel momento sono cominciati i guai: due giorni dopo si è rotta il dito del piede a Firenze, il viaggio in Italia è stato funestato. Chiede scusa e prega di rimetterlo a posto, prima che possa accadere qualcosa di ben più serio.
Infine un "pentito" scrive: "Contro malocchio e malasorte rendo, faccio gli scongiuri e chiedo scusa". Di certo emerge un malcostume planetario: rubare reperti come fossero souvenir.
Il furto della borchia
Serviva da ornamento per porte ed era infissa su un pannello di legno e coperta solo davanti da un pannello di plexiglass la borchia in bronzo del VI secolo a.C. rubata. E ra esposta nella mostra "Pompei e i greci" all'interno della cosiddetta Palestra Grande. Il furto sarebbe avvenuto durante l'orario di apertura al pubblico. Il valore non è certo inestimabile, 300 euro. Ma c'è un valore che riguarda il sito.
Si è mobilitato il reparto investigazione scientifiche dell'Arma dei Carabinieri per effettuare i rilievi e le indagini pertinenti.
Ma il personale di Pompei è convinto che il reperto tornerà a casa e non perché i responsabili saranno inchiodati dalle immagini registrate dal sistema di videosorveglianza. Il senso di colpa, l'angoscia per la maledizone attivata, faranno la differenza.