Ha avuto grande risonanza nell'opinione pubblica la richiesta di differimento della pena per Totò Riina. Il boss corleonese, definito il "capo dei capi" o "la belva", sta scontando la condanna prevista dal 41-bis, ma le sue condizioni di salute sembrano essere precarie. Il difensore del padrino, Luca Cianferoni, invocando il diritto ad una morte dignitosa, sostiene che per via della patologia da cui è affetto, il suo assistito dovrebbe trascorrere gli ultimi giorni di vita in casa.
In attesa del verdetto
Dopo l'insuccesso della richiesta di scarcerazione in prima istanza presso il Tribunale di sorveglianza di Bologna, il legale di Riina ha fatto ricorso ottenendo la pronuncia favorevole della Corte di cassazione.
Quest'ultima, infatti, richiede che si debba valutare nuovamente la condizione di detenzione, onde comprendere se comporti una maggiore afflizione, tale da superare una legittima esecuzione della pena. Spetterà ancora una volta al Tribunale di sorveglianza di Bologna valutare la situazione ed operare una scelta.
Le proteste di fronte all'eventuale scarcerazione
La notizia del possibile rientro a casa del boss di Cosa Nostra è finita sotto i riflettori com'è già accaduto in passato in situazioni analoghe e per altri detenuti. Totò Riina, che non si è mai pentito per i reati ascrittigli, non è ben visto da parte dei parenti delle vittime di mafia, nonché da quanti sostengono la pericolosità dell'eventuale scarcerazione.
Il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, ricorda che il PM Nino Di Matteo è costretto a vivere blindato per le minacce provenienti da parte di Riina direttamente dal carcere. Infatti l'ex boss ancora oggi sarebbe il capo di Cosa Nostra, a detta del questore di Palermo, Renato Cortese. Il caso ha richiamato l'attenzione anche del Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, il quale ha affermato: "Un boss come lui comanda anche solo con gli occhi".
Un'altra voce che esprime sgomento è quella di Rita Dalla Chiesa. La conduttrice stenta a riporre fiducia nei confronti dei giudici, ricordando come suo padre e gli altri caduti per mano mafiosa non abbiano potuto godere di una morte dignitosa: "massacrati dai proiettili nelle macchine o sui marciapiedi [...], a cielo aperto, sotto gli occhi di tutti", scrive sulla sua pagina Facebook.
Anche Salvatore, il fratello di Paolo Borsellino, trova ingiusto accordare la richiesta di Riina, ma non si stupisce affatto, perché afferma che già ai tempi della strage di Via D'Amelio gli avevano anticipato che il boss "non sarebbe morto in carcere".