I diritti umani diventano sempre più scomodi nella Turchia di Erdogan. Sono almeno 12 gli attivisti arrestati ieri sera a Istanbul, e tra loro c’è anche la direttrice di Amnesty International, Idil Eser. Il blitz della polizia turca è avvenuto durante un workshop sulla sicurezza digitale che riuniva i rappresentanti di importanti organizzazioni umanitarie operanti sul territorio.
I 12, tra cui due istruttori stranieri di cittadinanza tedesca e svedese, sono stati fermati in un hotel di Buyukada, isola al largo di Istanbul sul mar di Marmara, e poi trasferiti in un’imprecisata caserma.
Per il momento non si sa altro, le ragioni del fermo non sono state ancora comunicate.
Il braccio di ferro tra Amnesty e il governo Turco
Continua così il braccio di ferro tra il governo turco e Amnesty International. Il segretario generale dell’ONG, Salil Shetty ha parlato di "un grottesco abuso di potere” che “mostra la situazione precaria in cui si trovano gli attivisti nel Paese”.
Anche il Presidente di Amnesty Turchia, Taner Kilic, era stato arrestato il 6 giugno a Smirne ed è tuttora detenuto, con l’accusa di legami con la presunta rete golpista di Fethullah Gulen. Kilic, che era stato l’avvocato del giornalista Gabriele Del Grande durante la sua detenzione, è ancora in attesa di processo, insieme con altri 22 avvocati fermati con lui.
L'attivismo di Amnesty in Turchia
Del Resto Amnesty non ha mai smesso di parlare chiaro sulla situazione nella Turchia di Erdogan. L’organizzazione, infatti, non si è limitata a denunciare nel suo rapporto annuale la sempre più ridotta libertà d'espressione, le torture, l’uso eccessivo della forza e le impunità del governo turco, ma ha lanciato un ultimo affondo a marzo, in occasione del primo anniversario dell’accordo tra Ankara e l’Unione Europea per arginare i flussi migratori.
Il patto, che vede la Turchia impegnata a pattugliare le coste dell’Egeo e a riportare sul proprio territorio i migranti che tentano di raggiungere l’area Schengen, è importantissimo per Ankara perché prevede l’abolizione dei visti per i cittadini turchi, la riapertura dei capitoli negoziali per l’ingresso nell’Unione e 6 miliardi di euro da investire in progetti di accoglienza e integrazione per i rifugiati.
In merito Amnesty aveva picchiato duro, affermando che non ci fosse nulla da festeggiare perché questo accordo “ha ridotto migliaia di migranti e rifugiati in condizioni squallide e pericolose e non dev’essere replicato con altri paesi”.
Nonostante le difficoltà, l’attività di Amnesty in Turchia non si ferma, sul sito web dell'organizzazione è possibile firmare gli appelli per il rilascio immediato della direttrice, Idil Eser, e del presidente, Taner Kilic.
Arresti, detenzioni e licenziamenti
I due sono vittime dell’inarrestabile ondata repressiva del governo turco in seguito al tentato colpo di Stato del 15 luglio scorso. Secondo gli ultimi dati, diffusi dal ministero della Giustizia lo scorso 30 maggio, in questo momento ci sono oltre 154mila persone in stato di arresto e circa 50mila detenute.
Tra queste ultime, 2400 sono giudici, 6900 militari, 8800 poliziotti, 144 giornalisti e 23 prefetti. In aggiunta 138mila persone hanno perso il loro posto di lavoro, soprattutto professori, docenti universitari e impiegati statali, e ad altri 50mila è stato ritirato il passaporto per impedirne l’espatrio.
Prospettive future
Il prossimo 19 luglio dovrebbe scadere lo Stato di Emergenza che autorizza tutte queste misure repressive, ma nulla esclude che possa essere prolungato. Lo scopriremo forse il prossimo 15 luglio, quando il presidente Racep Tayyip Erdogan, pronuncerà un discorso dal primo ponte sospeso sul Bosforo, lo stesso da dove partì il tentativo di golpe lo scorso anno.