Ricordare è davvero un'azione importante, la memoria infatti richiede esercizio: una traccia mnemonica che conserviamo nel cervello e che non viene richiamata alla mente decade nel tempo. Per questo motivo ricordare i tristi avvenimenti dell'estate del 1992 è un atto dovuto per chi intende perseguire le via della legalità.

La strage di via d'Amelio

Alle ore 16.58 di domenica 19 luglio 1992 in via Mariano D'Amelio a Palermo si è consumato uno dei più efferati attentati a stampo terroristico-mafioso dal dopoguerra, la strage di via D'Amelio. Un'intercettazione ambientale tra il boss mafioso Totò Riina e il pugliese Alberto Lorusso, effettuata nei pressi del carcere milanese di Opera (dove i due detenuti scontano la loro pena), sembra chiarire la dinamica dell'attentato.

Il giudice Paolo Borsellino, accompagnato dagli agenti della scorta, come ogni domenica era solito fare, stava andando a far visita alla madre, un rituale che conoscevano bene anche i suoi attentatori, i quali hanno avuto modo di orchestrare una trappola mortale per il magistrato. Il piano prevedeva l'installazione di circa 90 kg di materiale esplosivo del tipo Semtex-H (una miscela esplosiva di Tritolo, T4 e PETN) all'interno di una fiat 126 (risultata poi rubata) con il detonatore nascosto all'interno del citofono dell'abitazione della madre del giudice. Pare infatti che sia stato lo stesso Borsellino ad azionare involontariamente il comando che fece deflagrale l'autobomba che uccise lui e cinque dei sei agenti di polizia membri della sua scorta (Claudio Traina, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Walter Eddie Cosina).

Il pool antimafia e il maxi processo di Palermo

Il pool antimafia, come sosteneva lo stesso Borsellino, nacque con lo scopo di coordinare il lavoro dei giudici istruttori, che prima conducevano le loro indagini in maniera individuale e senza scambio di informazioni tra chi si occupava di materie contigue. Attraverso uno scambio di informazioni si andava a migliorare l'efficacia dell'esercizio dell'azione penale, fondamentale per fronteggiare al meglio il sistema mafioso.

L'enorme lavoro del pool antimafia non è finito con quello che la stampa ha ribattezzato il maxi processo di Palermo, come il prezzo da pagare per essere andati a scavare nelle nefandezze di Cosa Nostra non si è esaurito nelle spese di vitto e alloggio della foresteria del carcere dell' Asinara. Le indagini del pool avevano scaturito il rinvio a giudizio di 476 indagati, e il maxi processo, tenutosi presso un'aula bunker del carcere dell' Ucciardone di Palermo ha comportato 342 condanne di cui 19 ergastoli.

"Convinciamoci che siamo cadaveri che camminano"

Alla fine del luglio del 1985, recandosi sul luogo dell'omicidio del dottor Montana, Ninni Cassarà disse al Giudice Borsellino : "convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano". Con questa convinzione il giudice Paolo Borsellino, dinanzi ad ogni crimine di Cosa Nostra, ha sempre trovato la forza di portare avanti la sua lotta senza quartiere contro la Mafia. Anche nel maggio 1992 , subito dopo la strage di Capaci dove morì Giovanni Falcone, suo intimo amico e collega, il giudice Borsellino, rilasciò un'intervista a Lamberto Sposini, nella quale ribadì di essere sempre stato consapevole delle conseguenze del lavoro che svolgeva, soprattutto in una realtà come quella siciliana.

Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola

"La Mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine". Questo il messaggio di speranza che Paolo Borsellino, dopo l'omicidio del Giudice Falcone nella strage di Capaci ha voluto inviare specialmente alle giovani generazioni, ritenute dal magistrato le più adatte a percepire nitidamente la bellezza del fresco profumo di libertà, quel profumo che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.