Matteo Lenardon - responsabile dei contenuti editoriali della testata online The Vision, già noto come ideatore di blog e format televisivi rivolti ad un pubblico giovane - scrive un lungo articolo per criticare la concezione di ‘Etica’ portata avanti dai vegani e prende di mira soprattutto la collega giornalista Giulia Innocenzi, portavoce con il suo libro Tritacarne di una errata, secondo Lenardon, concezione etica della vita che coinciderebbe con la sola prescrizione di non uccidere gli animali. La sua tesi è che, se tutti gli esseri umani smettessero di consumare prodotti animali “deforestazione e surriscaldamento terreste aumenterebbero”.

I danni provocati dalla quinoa in Sudamerica

Secondo il redattore di thevision.com milioni di vegani avrebbero una vera e propria ossessione per la parola ‘etica’, declinata in qualsiasi occasione. Lenardon fornisce alcuni esempi, come la rassegna di cultura vegana denominata “Parma Etica Festival”, oppure il libro intitolato “La cucina etica” definito un “ricettario-bibbia della comunità vegana italiana”. Critica a parte merita la quinoa, uno degli alimenti più diffusi nella dieta vegana perché ricco di proteine, sostitutive di quelle animali. Lenardon fornisce alcuni dati: la quinoa viene coltivata prevalentemente in Perù e Bolivia, i paesi più poveri del Sudamerica (fonte: Unicef). Da quando i vegani hanno cominciato a cibarsi di quinoa, il suo prezzo è triplicato tra il 2006 e il 2011, fino a raggiungere lo stratosferico record di 8 mila euro a tonnellata per le qualità più pregiate.

In questo modo, dopo 5 mila anni di abitudini invariate, i contadini poveri della Bolivia sono stati costretti a modificare la loro dieta in modo tale da poter vendere tutta la “preziosa” quinoa prodotta. In pochi anni, quindi, è stata compromessa la diversità biologica di quel territorio, destinato ora alla monocoltura. Situazione molto simile anche in Perù, con il risultato che, scrive Lenardon, “nei Paesi d’origine è diventato più conveniente mangiare l’hamburger di una multinazionale” che la quinoa.

‘Anacardi insanguinati’

Cambiando alimento, Lenardon passa ad analizzare gli anacardi. Prodotti per il 40% in Vietnam con metodi di sfruttamento quasi schiavistico (fonte: Human Rights Watch), gli anacardi sostituiscono il latte nella dieta vegana e con essi si producono besciamella, gelato, mousse e formaggi spalmabili. La filiera di quelli che la stessa Ong ha definito “anacardi insanguinati” prosegue poi in India, dove vengono trattati e rilasciano le loro tipiche sostanze acide corrosive.

Tutto a danno delle operaie indiane.

Le mandorle della California

Non va meglio con le mandorle, altro elemento insostituibile per la dieta vegana perché utile a produrre mozzarella, ricotta e formaggi ricchi di calcio. Prodotte per l’82% nella ricca California, le mandorle hanno visto lievitare il loro prezzo di 3 volte in 5 anni e la loro coltivazione è corresponsabile del “prosciugamento delle riserve idriche” californiane che ha condotto alla morte di migliaia di animali autoctoni. Per una sola mandorla, infatti, occorrono ben 4 litri d’acqua.

Il capitolo avocado

Altro fattore di siccità per la California è stata la coltivazione dell’avocado, divenuto secondo Lenardon “status symbol politico per food stylist”.

Pensate che per produrre solo mezzo chilo di questo frutto sono necessari 270 litri d’acqua. Anche nel confinante Messico l’avocado ha provocato danni immensi: 700 ettari di foreste distrutte ogni anno e sostituite da frutteti, riserve d’acqua inquinate da pesticidi e fertilizzanti, rischio estinzione per molte specie animali. Business dell’avocado messicano appannaggio del al cartello dei Cavalieri Templari, “organizzazione criminale responsabile della distribuzione di crystal meth negli Stati Uniti”.

La soia, ‘il più grande distruttore di foreste del mondo’

Lenardon riferisce che per coltivare soia, ad esempio, ogni anno sparisce il 3% della foresta pluviale in Argentina, una estensione di terreno grande come il Portogallo.

Nel vicino Brasile, invece, dal 1978 ad oggi sarebbero spariti territori boschivi delle dimensioni di Italia e Germania messe insieme. Tutto per fare posto alla tanto amata (dai vegani) soia. Un disastro climatico planetario.