Alex Stamos, Chief Security Officer (CSO) di Facebook, è intervenuto su Twitter a difesa delle iniziative aziendali per combattere le fake news sul social network. A capo delle indagini sul Russiagate, Stamos sostiene che la stampa sottovaluti la complessità del fenomeno: controllare una piattaforma del genere non è un’impresa tanto facile come sostengono i giornalisti. La discussione è iniziata a seguito dell’articolo pubblicato da Quinta Jurecic – un editorialista del Washington Post – nel quale gli ingegneri sono accusati d’eccessiva fiducia nella neutralità degli algoritmi.

Proprio per potenziare gli strumenti d’identificazione e censura delle fake news sul social network, Facebook ha deciso d’affiancare dei dipendenti agli algoritmi automatici già attivi sulla piattaforma. Stamos ritiene che nessuno della compagnia, al contrario di quanto sostiene Jurecic, abbia mai pensato che un algoritmo possa essere neutrale: sviluppati dagli esseri umani, anche i programmi hanno un preciso orientamento politico che guida le loro azioni. Esisterebbe perciò un divario molto ampio fra le ipotesi degli accademici e le reali opinioni dei tecnici della Silicon Valley.

Russiagate: Mark Zuckerberg e la pubblicità su Facebook

Il problema delle fake news è precedente alla campagna elettorale per le presidenziali statunitensi, ma il cosiddetto Russiagate ha riacceso le polemiche a partire dall’elezione di Donald Trump.

Mark Zuckerberg ha dovuto riconoscere che qualcuno dalla Russia ha investito delle somme consistenti in pubblicità su Facebook per manipolare l’opinione pubblica attraverso la diffusione di notizie a favore dell’attuale presidente degli Stati Uniti — diffuse soprattutto per rovinare l’immagine della candidata Hillary Clinton.

Alle ammissioni di Zuckerberg devono essere sommate le indagini di Twitter, costretta a censurare i profili di numerose fonti d’informazione russe. La proliferazione delle fake news sui social network – che non riguarda soltanto il Russiagate – è un problema apparentemente irrisolvibile del tutto: da una parte l’enorme quantità d’inserzioni pubblicate ogni giorno su Facebook e dall’altra il rischio d’attuare una forma di censura nei confronti delle opinioni impopolari rendono le operazioni di controllo una questione piuttosto delicata che un algoritmo non può gestire in autonomia.

Clickbait sui social network: quando le fake news sono un business

Quello delle fake news su Facebook è un fenomeno strettamente legato al clickbait, ovvero alla pubblicazione di contenuti che fanno leva sull’emotività degli utenti per convincerli a visitare una pagina che a sua volta contiene delle inserzioni pubblicitarie affatto connesse al titolo e alla descrizione evidenziati sul social network. È questo il caso più frequente delle notizie diffuse in Italia, che non hanno per forza delle implicazioni politiche come quelle identificate da Zuckerberg nell’ambito del Russiagate.

Il problema delle fake news – quando non si limitano alla diffamazione – è che generano un circolo vizioso: Facebook guadagna dalle inserzioni e gli inserzionisti dalle visite ai contenuti sponsorizzati.

Più utenti visitano i link promossi, più il social network ricava da chi li ha diffusi sulla piattaforma. Nel limitare la pubblicazione delle “bufale” Zuckerberg non ha soltanto la responsabilità di combattere delle campagne come il Russiagate, ma anche quella di selezionare i propri clienti e rinunciare a quei cospicui guadagni che dipendono dalla pubblicità sulla piattaforma.