Corea del Nord sponsor del terrorismo? Nulla di nuovo in realtà, pertanto consigliamo subito agli 'smartphomani' deliberatamente catastrofisti di stare tranquilli e, per l'occasione, di fare anche un ripasso di Storia contemporanea. Evitino dunque di guardare in cagnesco ogni soggetto con gli occhi a mandorla perché possibile kamikaze made in Pyongyang, allo stesso modo totalmente delirante con cui guardano i migranti provenienti dai Paesi islamici.
Pyongyang in 'black list' per vent'anni
Il piccolo Stato comunista è un vecchio frequentatore di quella lista, il suo nome vi ha figurato in bella mostra per circa un ventennio, fino al 2008, ed era stato rimosso dall'amministrazione americana di George W.
Bush all'epoca in cui era stato sottoscritto l'accordo sul nucleare fallito in meno di un anno. Le motivazioni ufficiali che hanno portato Donald Trump ad inserire Pyongyang nell'elenco degli 'Stati canaglia' sono legate direttamente alla morte allo studente statunitense imprigionato dal regime nordcoreano e deceduto a causa delle ferite subite. La Casa Bianca parla anche di "omicidi commessi in terra straniera", il riferimento è all'uccisione del fratellastro del dittatore Kim Jong-un all'aeroporto di Kuala Lumpur, in Malesia. Le circostanze che avevano portato la Corea del Nord in black list negli anni passati, erano invece individuabili nei rapimenti di cittadini giapponesi negli anni '70 ed '80 e nelle presunte uccisioni di cittadini nordcoreani all'estero nello stesso periodo, oltre che in un attentato attribuito al governo nordcoreano su un volo di linea della Corea del Sud nel 1987.
A quell'epoca era ancora al potere il 'presidente eterno' Kim Il-sung, nonno dell'attuale leader.
Due facce della stessa medaglia
Il ritorno della Corea del Nord nella lista di sponsor del terrorismo internazionale, così come il fatto che ne fosse uscita poco meno di dieci anni fa, sono due facce opposte della stessa medaglia: iniziative intraprese nel tentativo di fermare la corsa del regime verso la sperimentazione bellica nucleare, motivo per cui la lista è più simbolica che reale.
Il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, ha annunciato nuove sanzioni verso il Paese asiatico già pesantemente sanzionato e la cui situazione economica è comunque precaria da anni, oltre che totalmente dipendente dalla Cina. In realtà l'atto in questione non peggiorerà di molto la situazione complessiva di isolamento nordcoreano e verrà visto dal regime alla stregua di una nuova provocazione politica, ergo non spingerà Kim Jong-un a negoziare, bensì ad accelerare ulteriormente il programma nucleare.
L'obiettivo di Pyongyang è quello di giungere alla creazione di un'arma balistica che sia in grado di colpire direttamente il territorio americano con una testata atomica. Solo in quel momento, probabilmente, il dittatore sarà disponibile ad aprire un tavolo di confronto con il principale nemico politico. Il fatto che la Corea del Nord non abbia più dato luogo a clamorose provocazioni non deve far pensare che i progetti di Kim si siano improvvisamente arrestati.
Il pugno di ferro di Washington
La strategia di Trump, suggerita dai 'falchi militari' del suo staff, è altrettanto semplice ed è vecchia quasi quanto gli Stati Uniti d'America. Consapevole di non poter scatenare un'azione militare senze incorrere in serie e poco immaginabili divergenze con la Cina, il presidente americano prosegue a mostrare i muscoli all'inverosimile.
La pressante presenza della sua 'armada' nel Mar del Giappone, le frequenti esercitazioni militari congiunte con gli alleati Corea del Sud e Giappone, la consapevolezza che il confermato premier nipponico Shinzo Abe lo sosterrà senza tentennamenti gettando al macero la politica pacifista che ha contraddistinto il suo Paese dal dopoguerra ai giorni nostri. Questa 'catena', unita al recente viaggio di Trump in estremo oriente (che aveva tra gli scopi principali quello di accerchiare politicamente Pyongyang) ed alle aspre sanzioni ONU, sono tutti elementi chiave del pugno di ferro di Washington. Il ritorno del regime nordcoreano tra gli sponsor del terrorismo, in quella lista nera in cui era stato inserito da Ronald Reagan negli anni '80, è solo la ciliegina sulla torta.
Un risultato è stato comunque ottenuto: sono più di due mesi che la Corea del Nord non esegue test missilistici. Da un lato c'è la conferma che Kim Jong-un è meno pazzo di come viene dipinto in occidente, dall'altro c'è comunque l'assoluto disinteresse da ambo le parti verso la diplomazia. La crisi coreana è in fase di stallo, ma lo è da oltre sessant'anni, con evidenti alti e bassi. Che poi alla Casa Bianca ci sia un presidente che abbia cavalcato la tigre contro il presunto 'pericolo mondiale' e, così facendo, abbia spostato l'interesse del mondo a parecchi km più ad est del disastro americano in Medio Oriente, è un dato di fatto. Abile strategia di comunicazione e manipolazione dell'opinione pubblica: in questo Donald Trump è stato molto bravo, lo dobbiamo riconoscere.