Nei primi anni '70 la definivano la 'strategia del pazzo'. Risale ai tempi della Guerra Fredda, quando l'allora presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon aveva istruito a dovere il suo staff. Gli inviati della Casa Bianca ripetevano ai sovietici che l'ossessione del loro capo per il comunismo era tale che, nei momenti di nervosismo, teneva sempre il dito nei pressi del fatidico bottone nucleare. Nixon però è stato consegnato alla storia non per le strategie, ma per alcuni fatti concreti che non fanno onore a Washington: la sconfitta in Vietnam e lo scandalo Watergate.

Se il riferimento di Donald Trump è il 37° presidente degli Stati Uniti, non sappiamo fino a che punto possa essere di buon auspicio. Ma la strategia del pazzo è probabilmente quella che il miliardario diventato presidente sta adottando con la Corea del Nord, far credere a Kim Jong-un che l'opzione militare sia la prima scelta. Tesi peraltro abbracciata da Pyongyang che nel suo quotidiano di partito, il Rodong Sinmum, ha definito le azioni americane come "la strategia del pazzo di un gangster che dovrebbe essere seppellito nella tomba della storia". Trump però è vivo e vegeto ed ha appena portato a compimento la sua missione più importante, nel suo lungo viaggio in estremo oriente: il bilaterale con il leader cinese Xi Jinping.

Tra falsa pazzia e reale lucidità

Donald Trump starebbe provocando il dittatore nordcoreano Kim Jong-un facendogli credere di essere estremamente instabile? Certamente i toni usati dal presidente americano nelle prime tappe del suo tour sono poco concilianti. Da parte del regime nordcoreano risposte di fuoco, ma nulla di concreto.

Il temuto lancio missilistico preannunciato dall'intelligence sudcoreana non c'è stato. Per il momento Kim dimostra una certa prudenza, lontana dall'immagine del pazzo con cui lo dipinge la stampa occidentale. Trump è stato invece accolto in pompa magna in Cina ed ha definito il suo omologo di Pechino "un amico ed un re cinese".

Il suo confronto con Xi Jinping però è stato tutt'altro che amichevole, ma qui la questione dibattuta non era la crisi coreana. Tra i due ci sono state vere 'scintille' sulle questioni commerciali. Trump ha detto a chiare lettere che "la Cina sta approfittando degli Stati Uniti" ed i rapporti commerciali tra i due Paesi sono all'insegna di uno "squilibrio insostenibile". Xi ha risposto in maniera vaga, elencando una serie di dati e di teorie liberiste, ben studiate da illustri economisti occidentali. In concreto, però, ha offerto al presidente americano una serie di accordi dal valore di circa 250 miliardi di dollari.

La richiesta 'isolazionista'

In merito alla crisi, Trump ha chiesto alla Cina di "isolare completamente la Corea del Nord".

Il presidente americano sa bene che Pechino possiede la leva giusta per spingere Kim Jong-un a trattare, ma sebbene Pechino abbia sostenuto e sostenga le sanzioni ONU nei confronti di Pyongyang, è invero difficile che la pressione nei confronti del vecchio alleato militare sia esercitata in maniera dirompente. La cordialità nei rapporti tra Pechino e Washington dà l'idea di una clamorosa montatura, è chiaro che i due Paesi sono estremamente contrapposti, sia dal punto di vista commerciale che sotto il profilo delle influenze strategiche. La Corea del Nord è la principale pedina su cui Xi Jinping può fare leva, al contrario, per sedersi con Trump e costringerlo a trattare: più o meno alle sue condizioni.

Ciò che offre sono maggiori investimenti cinesi negli Stati Uniti e, dunque, la possibilità di muovere l'economia della controparte.

L'incontro con Putin

Intanto è giunta la notizia che, nel corso del suo viaggio, Donald Trump avrà un importantissimo 'fuori programma'. Il 10 novembre il presidente degli Stati Uniti incontrerà il suo omologo russo Vladimir Putin, si tratta del secondo bilaterale dopo quello della scorsa estate avvenuto al G20 di Amburgo e si terrà a Da Nang, in Vietnam, a margine del vertice Apec. La conferma arriva direttamente dal Cremlino, per voce del consigliere per la politica estera, Yuri Ushakov.