Sta facendo discutere la sentenza della Cassazione sulla vicenda del boss di Mazara del Vallo, Mariano Agate, lo spietato esponente di Cosa nostra - condannato all'ergastolo per le stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui persero la vita Falcone e Borsellino - il quale fu definito dal giornalista Rino Giacalone, subito dopo la sua morte, un "escremento".

La vicenda giudiziaria ebbe inizio proprio quando Agate si spense nell'aprile di quattro anni fa a causa di un cancro, ed il giornalista trapanese scrisse a riguardo: “E’ morto un pezzo di m....”, la frase postata sul web, che richiamava in parte quella celebre di Giuseppe Impastato, fece infuriare la vedova del mafioso che procedette immediatamente con una querela per diffamazione.

Dalla denuncia ne scaturì un processo nel quale Giacalone fu prosciolto nel giugno del 2016.

Secondo la Cassazione però, uno dei più grandi mafiosi della provincia di Trapani, condannato alla reclusione a vita per sette omicidi, le cui esequie private furono negate dal vescovo di Mazara del Vallo, dopo che il questore aveva vietato quelle pubbliche, non può essere paragonato a materia fecale.

La notizia ha aperto un acceso dibattito nei territori maggiormente colpiti dalla malavita

Con la sentenza 50187 che precisa che la dignità va riconosciuta a qualsiasi essere umano, anche se ha capeggiato un'associazione sanguinaria, si è aperto in tutt'Italia un acceso dibattito. Ad essere preoccupati non solo i giornalisti che quotidianamente affrontano tematiche afferenti la criminalità organizzata, ma anche gli abitanti dei territori fortemente compromessi dalle attività illecite dei boss malavitosi.

A riguardo molti, in gran parte dell'ex Campania Felix, tristemente rinominata "Terra dei fuochi", sono stupiti ed arrabbiati per l'accortezza che dovranno riservare ai diversi camorristi che hanno deturpato un'intera area geografica, sotterrando rifiuti di ogni sorta e provocando un aumento considerevole delle morti per tumore.

Aver ucciso impugnando un'arma ed aver sterminato migliaia di persone interrando sostanza pericolose, non sarebbero secondo la Cassazione motivazioni giustificabili per definire un individuo con appellativi che danneggiano la sua rispettabilità, banditi quindi sfoghi verbali che comprendano epiteti tipo "m***a", "rifiuto" o come si dice più comunemente in Campania "munnezza".

E se una parte di cittadini si schiera a favore della sentenza, ritenendo giusto che tutti debbano essere trattati con le modalità dettate dal vivere civile e dal nostro sistema giuridico, il quale prevede la rieducabilità del detenuto, da un'altra parte in tanti si chiedono come soggetti condannati al carcere a vita possano essere rieducati per essere reintrodotti nella società, e come, nel caso specifico, Agate possa essere rieducato se è passato da tempo a miglior vita.